venerdì 4 dicembre 1998

LA DISCIPLINA SANZIONATORIA A TUTELA DELLA SALUTE DEI LAVORATORI DAL RISCHIO CHIMICO NEL DLGVO 626/94.


LA DISCIPLINA SANZIONATORIA A TUTELA DELLA SALUTE DEI LAVORATORI DAL RISCHIO CHIMICO NEL DLGVO 626/94.

INQUADRAMENTO GENERALE
La direttiva n. 98/24/CE., che ha fissato a livello europeo i requisiti minimi per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro, quattordicesima direttiva particolare emanata ai sensi della direttiva quadro 89/391/CEE ( art 16 par. 1 ), , ha trovato finalmente attuazione nel nostro ordinamento.
Il Governo, sulla scorta della legge comunitaria per l’anno 2000 ( L 422 del 26/12/2000 ), ha sul filo di lana, due giorni prima della scadenza della delega, emanato il DLGVO n. 25 del 2/2/2002 pubblicato sulla G.U. dell’8/3/2002, decreto che introduce importanti novità normative, di grande impatto .
Non di ugual pregio, e non solo sul piano lessicale e per mere imprecisioni, la tecnica legislativa adottata, ( tra l’altro, come già rilevato dai primi commentatori, errata la numerazione progressiva degli articoli da 60 bis in poi , mentre l’introduzione dopo il titolo VII di un nuovo titolo VII BIS avrebbe richiesto la numerazione da 7 2 bis in poi ).
Difatti emergono alcune incongruità nella stessa disciplina sanzionatoria delle condotte omissive ad una attenta osservazione dagli interpolati artt 89 2° co e 90 DLGVO 626/94 .
L’impatto che la nuova normativa avrà sul piano sostanziale non ne verrà solo perciò pregiudicato, ( ci si augura ), ma secondo un cliché noto, già occorrerebbe porsi il problema di eventuali interventi correttivi .
Pressoché tutti i rischi da agenti chimici ( concreti ed attuali ma anche potenziali ), hanno ora una loro organica previsione e collocazione nel quadro del sistema di sicurezza e prevenzione ispirato al modello fondamentale attuato con il DLGVO 626 ed un ulteriore importante passo generale può dirsi realizzato, a livello normativo.. Ma vi sono certo alcune imprecisioni e almeno una “ non felice ” definizione normativa che desta perplessità su un nodo cruciale quale quello del rischio definito dal legislatore “ moderato “ : una definizione che appare sul piano lessicale troppo vaga ed estesa che ha precise conseguenze in termini di applicazione ( ridotta al minimo ) della normativa e che a nostro modo di vedere avrebbe potuto essere più meditata. I primi commentatori a riguardo già sottolineano come nella versione inglese e francese della direttiva 98/94/CE i rispettivi termini adottati , “ slights “ e “ fleble “, indichino più felicemente la insignificanza o l’entità ridottissima del rischio.

Con il DLGVO 25/2002, viene accelerata la senescenza del vecchio DPR 303/56, e ricondotta la sorveglianza sanitaria per i rischi chimici integralmente al nuovo apparato di norme : la novellata terza tabella di riferimento del DPR 303/56 che elencava tutte le cause di rischio che richiedevano il controllo sanitario dei lavoratori , con cadenza periodica predeterminata spesso semestrale e trimestrale, viene, di risulta, delimitata alle sole cause di rischio non chimico, dalla n. 45 alla n. 46 e dalla 48 alla n.. 56..
Viene meno poi per “naturale” assorbimento una parte del DLGVO 277/91, espressamente abrogati il capo II concernente i rischi da esposizione al piombo metallico ed ai suoi composti ionici, e le tabelle relative allegate ( tabella I, II, III, IV ) oltreché la tabella VIII sulle modalità di campionatura e di misurazione degli agenti chimici e di valutazione dei risultati . Tutto sommato una fine parziale ma non gloriosa, atteso il ruolo sinora avuto in concreto da questa primigenia normativa settoriale, quantomeno a giudicare dagli scarni dati sugli accertamenti effettuati dalla vigilanza in ordine allo specifico rischio. Vi era e permane a riguardo una communis opinio: che la introduzione ante litteram ( in particolare proprio per i rischi da piombo ) dei nuovi criteri fondanti la diversa filosofia della sicurezza, generalizzata solo nel 1997 con l’entrata in vigore per tutte le aziende del DLGVO 626, il carattere settoriale della normativa, ed un sistema di sanzioni pecuniarie (forse opportune ma indubbiamente) pesanti, non ne avevano dall’inizio favorito la concreta applicazione.
La futura concreta applicazione della nuova disciplina, del rischio chimico nei luoghi di lavoro, la tempestiva osservanza e la vigilanza sui tardivi o mancati adeguamenti consentiranno di valutare l’effettivo raggiungimento degli importanti obiettivi perseguiti.

Entro il 23 Giugno del 2002 i datori di lavoro che alla data di entrata in vigore del DLGVO 25/2002 ( 23 Marzo 2002) svolgevano attività che debbono considerarsi rientranti nel campo di applicazione della nuova normativa, dovranno difatti conformarsi: un impegno forte, complesso e concentrato in tempi brevi, esteso a moltissime attività non solo produttive.
Nelle regioni e Province autonome, Trento e Bolzano, che non abbiano ancora dato attuazione per la parte di propria competenza al recepimento della direttiva 98/24/CE, è altresì immediatamente applicabile la nuova normativa, sino alla entrata in vigore delle normative di attuazione, a sua volta vincolata ex art 117 4° co della Costituzione, al rispetto dei principi fondamentali desumibili dalla nuova disciplina statale.
Dalla data suindicata potranno essere pertanto accertate le eventuali violazioni contravvenzionali ed impartite le prescrizioni volte alla regolarizzazione.
Ma prima di vagliare il contenuto delle contravvenzioni configurate, appare necessario almeno delimitare i presupposti normativi di applicazione dei precetti interessati

PRESUPPOSTI NORMATIVI

- Attività interessate e agenti chimici

Nell’ambito del DLGVO 25/2002 secondo la dizione accolta dall’art 60-bis rientrano tutte le attività in ordine alle quali si ponga un attuale od anche solo potenziale rischio di natura chimica. ( “ rischi per la salute e la sicurezza che derivano, o possono derivare, dagli effetti di agenti chimici presenti sul luogo di lavoro o come risultato di ogni attività lavorativa che comporti la presenza di agenti chimici “ )
In particolare l’art 60-ter nel ribadire alla lettera e) che per attività che comporta la presenza di agenti chimici deve intendersi “ ogni attività lavorativa in cui sono utilizzati agenti chimici o se ne prevede l’utilizzo, in ogni tipo di procedimento “ estende la nozione anche al caso di agenti chimici “ che risultino da tale attività lavorativa “ .
A riguardo deve ritenersi che la presenza di agenti chimici possa essere anche solo la conseguenze di risulta e finale della attività espletata, senza che possa indicarsi la assenza originaria di agenti chimici come titolo di esonero dalla applicazione della disciplina.
Le categorie di procedimento lavorativo enucleate a fine meramente esemplificativo dalla norma sono quelle della :
Produzione
manipolazione,
immagazzinamento,
trasporto, eliminazione e trattamento dei rifiuti

Attesa la amplia definizione accolta moltissime attività dovranno ritenersi quindi assoggettate ai precetti sanzionati ( e non ) introdotti dal DLGVO 25/2002: ma è dato prevedere che, nella pratica attuazione, con procedimento in apparenza logicamente rovesciato ma ermeneuticamente non scorretto, si procederà a partire dalla verifica in concreto della assenza di agenti chimici che possano essere ritenuti pericolosi ( anche solo di risulta) .
Oltre a pressochè tutte le aziende produttive in genere di tipo industriale ( costituendone solo una parte gli stabilimenti chimici produttivi ), alle aziende manifatturiere ed alle attività artigianali ( alle aziende ad esempio, del settore tipografico e cianografco) alle attività commerciali, alle imprese di trasporto e trattamento dei rifiuti, già assoggettate alle specifiche discipline, la nuova disciplina si deve tra l’altro ritenere applicabile tra l’altro anche alle aziende ospedaliere ed ai laboratori chimici ( nei quali si assomma anche il rischio biologico ) , alle imprese di pulizia, alle aziende agricole .

D’altronde il valore esemplificativo delle categorie elencate, non può sfuggire all’interprete .e comunque, anche a voler ipotizzare l’esistenza di attività con pericolo di esposizione ad agenti chimici pericolosi nelle quali non sia ravvisabile alcuna delle categorie di procedimento lavorativo enucleate, appare arduo affermare che a tali attività non sia applicabile la regolamentazione del rischio a tutela della salute dei lavoratori..
In conclusione deve ritenersi che la accolta definizione più generale di attività lavorativa assoggettata al rischio chimico ha in buona sostanza valore esaustivo ed assorbente, direi di più, presenta essa solo valore dirimente..

Individuazione degli agenti chimici pericolosi

Il punto riposa però nella individuazione normativa della nozione di agente chimico, e di rischio e pericolo, in ragione dei quali scattano gli obblighi più impegnativi, all’esito della valutazione dei rischi ex art 4 DLGVO 626/94
Alla definizione astratta di agente chimico richiamata nell’art 60-te lett a), (tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o no e siano immessi o no sul mercato) vanno perciò aggiunte le relative specifiche ulteriori:

- sostanze pericolose (DLGVOI 52/97 sulla relativa classificazione, imballaggio ed etichettatura)
- preparati pericolosi ( DLGVO 285/98 sulla relativa classificazione, imballaggio ed etichettatura)
- agenti chimici per i quali sia stato individuato un valore limite di esposizione professionale
- agenti chimici che possano comunque comportare un rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori ( in ragione delle rispettive proprietà fisio-chimiche, chimiche e tossicologiche. ( clausola di chiusura che conferisce una portata potenziale molto estesa alla regolamentazione )

Restano poi esclusi gli agenti chimici classificati pericolosi solo per l’ambiente, ma non per l’uomo, ed espressamente ricondotti alla disciplina del DLGVO 230/95 gli agenti chimici per i quali è prevista la protezione radiologica (nel chè consiste la ratio della diversificata disciplina e vigilanza).
Alla valutazione primaria dei rischi, necessariamente trasfusa nel documento di sicurezza, fanno seguito due percorsi normativi differenziati a seconda che il rischio valutato ( effettivo ) possa ritenersi “moderato” o no, e della adeguatezza e sufficienza delle misure generali appropriate adottate per ridurre al minimo od eliminare i rischi..
Il cuore della disciplina ed in particolare le misure specifiche di protezione e prevenzione, gli obblighi relativi alla misurazione degli agenti pericolosi ed i controlli sui livelli di esposizione , le previsioni specifiche per il caso di incidenti od emergenza , la sorveglianza medico-clinica affidata al medico competente ed i compiti di monitoraggio biologico, tenuta e informazione dei dati, , la specifica informazione e formazione dei lavoratori costituiscono l’insieme precettivo a cui fanno riferimento le sanzioni configurate, nella trasposizione italiana della direttiva europea.

IL QUADRO SANZIONATORIO:


Nel rispetto della consueta tecnica sanzionatoria il legislatore ha proceduto, per la verità con qualche soluzione affrettata , introducendo nuove fattispecie contravvenzionali che prevedono sanzioni riferite ai precetti ritenuti più importanti .
Si tratta come al solito di “ contravvenzioni “ ( punite con le sanzioni minori dell’arresto e dell’ammenda ), costituenti reati “ propri “ ( che possono essere commessi solo da soggetti titolari degli obblighi ), “ omissivi “ ( viene sanzionato il mancato, parziale od erroneo adempimento dell’obbligo ) e “ permanenti “ ( nel tempo, sino alla regolarizzazione mediante ottemperanza al precetto ).
La lesione dell’interesse penalmente sanzionato coincide con la persistente violazione dell’obbligo..Tra le conseguenze la connessione causale in via logico normativa con eventi di malattia professionale o mortali : in altri termini le omissioni possono essere poste in correlazione causale con le conseguenze derivanti dalla esposizione ad agenti chimici nocivi, ed il soggetto tenuto all’adempimento del precetto ( contravventore ) può essere chiamato a rispondere dei danni alla persona che la omissione ( ed il mancato controllo e/o riduzione del rischio ) hanno cagionato.


A.) Violazioni degli obblighi fondamentali connessi alla specifica valutazione, nell’ambito dei rischi, del rischio chimico art 60 quater 1°, 2° e 3°, 6° e 7° co in relazione all’art 4 1° co, tutte sanzionate ai sensi dell’art 89 2° co lett. A) DLGVO 626/94.

Alla necessità di assicurare una accurata, effettiva e articolata valutazione dei rischi e conseguente valutazione nel documento di sicurezza, ed aggiornamento della valutazione , non poteva non essere connessa una previsione di sanzione penale, così come già previsto per il rischio cancerogeno ( artt 63 co 1°, 4° e 5°, e 69 co 5° lett A ) ed il rischio biologico ( art 78 co 3° e 5° ed 86 co. 2 ter ).
Ma un dato colpisce: mentre per tali rischi la violazione era stata secondo una valutazione condivisa opportunamente ricondotta nell’alveo degli obblighi primari e fondamentali che fanno capo esclusivamente al datore di lavoro, nel caso del rischio chimico le omologhe previsioni sanzionatorie sono state tutte inserite nell’art 89 2° co, relativo alle violazioni dei datori di lavoro e/o dirigenti..
Sul piano formale può aver dato il suo contribuito il mancato espresso aggancio, delle nuove previsioni sulla valutazione dei rischi chimico, al documento di sicurezza ( espressa indicazione contenuta invece per il rischio cancerogeno nell’art 63 “ risultati riportati nel documento di cui all’art. 4 co 2 “ e per il rischio biologico nella disposizione di cui all’art 78 co 5° ), ma l’argomento non sembra appagante.
Per un verso appare sistematicamente inoppugnabile che alla valutazione del rischio chimico deve ( non può non ) conseguire la incorporazione delle valutazioni relative nel documento di sicurezza.
Inoltre va dato atto della esistente sanzione ex art 89 1° co delle condotte inerenti per l’appunto l’omesso aggiornamento e l’omessa rinnovazione tout court della valutazione dei rischi cancerogeno e biologico ( rispettivamente artt 63 5° co , 69 co 5° lett A e 78 co 3 ed .86 co 2 ter ).
La scelta di ricondurre alla previsione sanzionatoria del 2° co dell’art 89, tutte le omissioni potenziali indicate non appare perciò congrua e coerente con le preesistenti scelte normative ed apre un possibile tema giuridicamente rilevante :il caso di scuola della delega della valutazione del rischio chimico a dirigente ( a nostro modo di vedere delega inammissibile e comunque contraddittoria con i principi cardine del DLGVO 626 ) e comunque di individuazione e di responsabilità esclusiva o corresponsabilità di dirigente a seguito di verbale. Si pone a riguardo il tema del vaglio circa la congruità e legittimità della previsione normativa. Con esiti di equa disapplicazione in concreto o dubbi di illegittimità parziale della norma.
Certo l’organicità logica del sistema sanzionatorio ne risente. E questo balza ancor più agli occhi considerando le condotte omissive cui si fa riferimento, e fra tutte in particolare quella di cui al 7° co dell’art 60 quater che testualmente ( ed opportunamente ) riporta al “ datore di lavoro “ l’obbligo.
.
Tali condotte omissive appresso enucleate, come si è detto riferite per loro natura agli obblighi propri del datore di lavoro, in quanto passibili di accertamento come reati e assoggettabili a sanzione penale sono inoltre , ovviamente , assoggettate come tutte le altre, alla procedura prescrizionale disegnata dal DLGVO 758/94..ma allo stato la sanzione penale eventualmente applicabile ( in caso di esito negativo della procedura prescrizionale ), è sempre quella dell’arresto da tre a sei mesi o dell’ammenda da lire 3 milioni ad lire otto milioni ( rectius, previa conversione , da € 1549 ad € 4131 ) .
Anzi proprio la identità della sanzione comminata rilancia il possibile dubbio interpretativo che, con la previsione sanzionatoria nell’ambito dell’art 89 2° co lett A) si via implicitamente voluto aprire un varco finalizzato ad una “ distribuzione “ della responsabilità da mancata , erronea o non aggiornata valutazione . proprio in materia di rischio chimico ( !? ) .
Il dubbio è in qualche modo sciolto peraltro proprio dall’inspiegabile richiamo ulteriore delle medesime violazioni nel contesto della previsione della sanzioni per i preposti ( art 90 DLGVO 626/94 ). In che modo possa rispondere un preposto della omessa valutazione del rischio sinergico da combinazione degli agenti chimici nell’ambito del processo produttivo, o della mancata valutazione dei rischi in generale , non è dato sapere , né immaginare..Si tratta perciò quasi certamente non di un espresso intendimento del legislatore ma di una formulazione non sufficientemente ponderata.
TABELLA I
Omissioni di cui all’art Art. 60-quater (Valutazione dei rischi) riferite essenzialmente ad obblighi propri del datore di lavoro, sanzionate dall’articolo 89 2° co lett A anche nei confronti dei dirigenti e dall’art 90 DLGVO 626/94 anche nei confronti dei preposti ( ….)

Art. 60-quater (Valutazione dei rischi)
1. Omessa o erronea determinazione e valutazione dei rischi ai sensi art 4 , con riferimento specifico alla presenza di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro ed ai rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori derivanti dalla presenza di tali agenti, tra l’altro non prendendo in considerazione uno o più dei seguenti aspetti:: a) le loro proprietà pericolose; b) le informazioni sulla salute e sicurezza comunicate dal produttore o dal fornitore tramite la relativa scheda di sicurezza predisposta ai sensi dei decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52 e 16 luglio 1998, n. 285 e successive modifiche; c) il livello, il tipo e la durata dell’esposizione; d) le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti, compresa la quantità degli stessi; e) i valori limite di esposizione professionale o i valori limite biologici; di cui un primo elenco è riportato negli allegati VIII-ter ed VIII-quater; f) gli effetti delle misure preventive e protettive adottate o da adottare; g) se disponibili, le conclusioni tratte da eventuali azioni di sorveglianza sanitaria già intraprese.

2. Omessa indicazione espressa delle misure specifiche di protezione e prevenzione adottate ( o da adottare ) ai sensi dell’articolo 60-quinquies e delle eventuali misure di da adottare in caso di incidente od emergenza ai sensi dell’articolo60-sexies. Omessa inclusione delle attività, ivi compresa la manutenzione, per le quali è prevedibile la possibilità di notevole esposizione o che, per altri motivi, possono provocare effetti nocivi per la salute e la sicurezza, anche dopo che sono state adottate tutte le misure tecniche.

3. Omessa valutazione del rischio che comporta la combinazione di tutti i suddetti agenti chimici, nel caso di attività lavorative che comportano l’esposizione a più agenti chimici pericolosi.

6.Omessa preventiva predisposizione della valutazione dei rischi nel caso di attività nuova che comporti la presenza di agenti chimici pericolosi ed inizio della attività senza che si sia proceduto alla valutazione dei rischi che essa presenta e all’attuazione delle misure di prevenzione.

7. Omesso aggiornamento periodico da parte del datore di lavoro della valutazione e, comunque, in occasione di notevoli mutamenti che potrebbero averla resa superata ovvero quando i risultati della sorveglianza medica ne mostrino la necessità.

B.) Omissioni dei datori di lavoro , dirigenti e preposti.
Più gravi: 60 sexies, septies, novies 1°, 3°, 4° e 5° co, 60 decies 7° co sanzionate ai sensi dell’art 89 2° co lett. A) e 90 lett A) DLGVO 626/94.
Meno gravi:, 60 decies 1°, 2° 3° e 5° co sanzionate ai sensi dell’art 89 2° co lett. B) e 90 lett B) DLGVO 626/94.
Meno gravi imputabili solo ai datori di lavoro e/o dirigenti 60 octies, 1°, 2° e 3° co sanzionate ai sensi dell’art 89 2° co lett. B) DLGVO 626/94.

Le violazioni appresso enucleate sono riferibili sia al datore di lavoro che al dirigente a riguardo munito ( come da principi generali ) di espressa delega scritta con conferimento di autonomi poteri decisionali e di spesa, ma anche ai preposti ( eccettuati per questi ultimi i soli obblighi di specifica informazione e formazione dei lavoratori ) .
Va inoltre rammentato che qualora il datore di lavoro si ingerisca nelle attività e nell’esercizio dei poteri delegati, ovvero sia comunque a conoscenza delle violazioni , in ragione della sua posizione di garanzia fondamentale, torna a rispondere delle violazioni, di norma congiuntamente al dirigente validamente delegato, sin dal momento dell’interferenza e comunque in un lasso di tempo ragionevole dalla presa di conoscenza delle violazioni e qualora non le regolarizzi personalmente, in caso di inattività del dirigente, secondo le prescrizioni e nel tempo impartito.
Peraltro anche il meccanismo ex lege di cui all’art 20 2° co DLGVO 758/94 che impone la notifica dei verbali di prescrizione sempre anche al rappresentante legale della ditta, contribuisce a richiudere il cerchio delle responsabilità, al precipuo fine di assicurare l’adempimento delle prescrizione ( come è noto alla regolarizzazione consegue altresì, previo pagamento della sanzione ridotta in sede amministrativa , la estinzione del reato ).
La sanzione penale eventualmente applicabile ai datori di lavoro e/o dirigenti ( in caso di esito negativo della procedura prescrizionale ), è:
per le violazioni più gravi sanzionate dall’art 89 2° co lett A) DLGVO 626/94 ed appresso enucleate nella seconda tabella quella dell’arresto da tre a sei mesi o dell’ammenda da lire 3 milioni a lire otto milioni ( rectius, previa conversione giusta art 51 DECRETO LEGISLATIVO 24 giugno 1998, n. 213. pene pecuniarie da € 1549 ad € 4131 ) . .
per le violazioni meno gravi sanzionate dall’art 89 2° co lett B) DLGVO 626/94 appresso enucleate nella terza tabella, quella dell’arresto da due a quattro mesi o dell’ammenda da lire un milione a lire cinque milioni ( rectius, previa conversione , giusta art 51 DECRETO LEGISLATIVO 24 giugno 1998, n. 213., pene pecuniarie da € 516 ad € 2582 ) ...

Delle medesime omissioni di cui sopra ( con la necessaria eccezione delle violazioni concernenti la formazione ed informazione dei lavoratori, vedi tabella III bis ) possono poi rispondere direttamente anche i preposti nell’ambito delle rispettive competenze ed attribuzioni .( art 1 co 4 bis DLGVO 626/94 ). Ma le sanzioni previste sono minori
per le violazioni più gravi di cui all’art 90 lett A) DLGVO 626/94 appresso enucleate nella seconda tabella, l’arresto sino a due mesi o l’ammenda da 500 mila lire a lire due milioni rectius, previa conversione giusta art 51 DECRETO LEGISLATIVO 24 giugno 1998, n. 213. pene pecuniarie da € 258 ad € 1032 )
per le violazioni meno gravi sanzionate dall’art 90 lett B) DLGVO 626/94 appresso enucleate nella terza tabella, l’arresto sino ad un mese o l’ammenda da lire trecentomila a lire un milione ( rectius, previa conversione , giusta art 51 DECRETO LEGISLATIVO 24 giugno 1998, n. 213., pene pecuniarie da € 154 ad € 516 ).

Al meccanismo della distribuita previsione delle responsabilità tra le diverse figure dell’organigramma aziendale corrisponde una fisiologica valutazione del “ livello “ dell’inadempimento accertato.
Ogni violazione nelle strutture complesse difatti, può collocarsi a livello di alta amministrazione, di amministrazione ed attuazione delle scelte o di attività esecutivo-attuativa terminale e di vigilanza.in senso proprio.
Ed è logico ( oltrechè ribadito in via normativa dallo stesso art 1 co 4 bis del DLGVO 626/94 ) che l’adempimento diretto spetti a vario livello alle diverse figure che cooperano nell’ambiente di lavoro; così come è assolutamente necessario che la vigilanza, contestando l’omissione, inquadri esattamente il fatto nell’ambito della catena degli adempimenti necessari, individuando poi il soggetto che doveva in effetti porre in essere la condotta dovuta, e tra l’altro verificando bene la stessa effettiva portata della delega relativa al dirigente o la stessa collocazione ed individuazione del preposto nonché le mansioni che la concreta preposizione comporta. .
E’ chiaro perciò che le omissioni attribuibili ai preposti sono afferenti a comportamenti dovuti, di natura esecutiva e di controllo e vigilanza sugli altri lavoratori : ad esempio é di tutta evidenza che la mancata messa a disposizione dei DPI per I lavoratori impegnati in caso di emergenza ed esposti ai rischi specifici relativi ed il mancato utilizzo durante tutto il tempo dell’intervento e dell’esposizione a rischio può riguardare alternativamente sia il dirigente delegato che il preposto ( che nel caso di specie parteciperà alle stesse operazioni ed interventi di emergenza e vigilerà sui lavoratori e sull’effettivo utilizzo dei DPI ). .
Mentre non fa sorgere pratici problemi la circostanza che alcune previsioni, mischiando vari profili siano almeno solo in parte riconducibili anche a concreti doveri del preposto, desta qualche sconcerto la teorica possibilità ( in virtù del generico richiamo della fattispecie incriminatrice a tutto l’art 60-opties) di ricondurre al preposto la sanzione per la violazione dell’obbligo, di inserire le misure di emergenza nel piano di cui al decreto 10 marzo 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 81 del 7 aprile 1998, con le relative specifiche .( art 60-opties 5° co .). Si tratta di una violazione propria di una figura apicale e per definizione non sembra possa ipotizzarsi un potere a riguardo affidato ad ( uno dei ) preposti
.Il chè induce a confermare il giudizio tecnico sul varo affrettato del provvedimento.
Frutto di una mera imprecisione normativa è poi la circostanza che, mentre tutte le violazioni del preposto all’articolo “ 60-sexies “ senza distinzioni siano state ricondotte alla previsione sanzionatoria dell’art 90 lett A , ricompaia il solo 8° co dell’art 60 sexies nella previsione delle sanzioni ex art 90 let B DLGVO 626/94.. Il favor rei, peraltro soccorre l’interprete, consentendo di risolvere in limine ogni dubbio sostanziale.dovendosi ritenere applicabile la pena minore .
TABELLA II

Condotte omissive piu gravi ipotizzabili nei confronti dei datori di lavoro e/o dirigenti o dei preposti sanzionate rispettivamente dall’art. 89 2° co lett A) e dall’art 90 lett A DLGVO 626/94 ( ma anche 90 lett B per quanto concerne la violazione all’art 60 sexies 8° co.)

Art 60-sexiese (Misure specifiche di protezione e di prevenzione) –
1. Non aver provveduto, sulla base dell’attività e della valutazione dei rischi di cui all’articolo 60-bis, ad eliminare o ridurre il rischio mediante la sostituzione dell’agente chimico , qualora la natura dell’attività lo consenta, con altri agenti che, nelle condizioni di uso, non sono pericolosi o sono meno pericolosi per la salute dei lavoratori ovvero adottando processi diversi . Ovvero, in quanto la natura dell’attività non consente di eliminare il rischio attraverso la sostituzione dell’agente, per non aver assicurato la riduzione del rischio mediante l’applicazione delle misure previste, secondo ordine di priorità: a) progettazione di appropriati processi lavorativi e controlli tecnici, nonché uso di attrezzature e materiali adeguati; b) appropriate misure organizzative e di protezione collettive alla fonte del rischio; c) misure di protezione individuali, compresi i dispositivi di protezione individuali, qualora non si riesca a prevenire con altri mezzi l’esposizione; d) sorveglianza sanitaria dei lavoratori a norma degli articoli 60-decies e 60-undecies.

2. Non aver provveduto,( a seguito di modifica delle condizioni che possono influire sulla esposizione e non potendo dimostrare di aver conseguito con altri mezzi un adeguato livello di prevenzione e di protezione ) ad effettuare la misurazione degli agenti che possono presentare un rischio per la salute, utilizzando metodiche standardizzate ( elenco meramente indicativo riportato nell’allegato VIII-sexties del DLGVO 626/94 ), ovvero non essendo utilizzabili tali metodiche comunque mediante metodiche appropriate “ o “ con particolare riferimento ai valori limite di esposizione professionale e per periodi rappresentativi dell’esposizione in termini spazio temporali.

3. Non aver identificato e rimosso, ( in quanto sia stato superato un valore limite di esposizione professionale stabilito dalla normativa vigente) le cause dell’evento, adottando immediatamente le misure appropriate di prevenzione e protezione.

4.Non aver allegato ai documenti di valutazione dei rischi e/o resi noti ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori i risultati delle nuove misurazioni effettuate a seguito della modifica delle condizioni.
Non aver tenuto conto dei risultati delle misurazioni effettuate a seguito della modifica delle condizioni, nell’adempimento degli obblighi conseguenti alla valutazione dei rischi e, sulla base della valutazione dei rischi e dei principi generali di prevenzione e protezione, non aver adottato le misure tecniche e organizzative adeguate alla natura delle operazioni( ivi compresi l’immagazzinamento, la manipolazione e l’isolamento di agenti chimici incompatibili fra di loro)
in particolare non aver evitato e comunque prevenuto sul luogo di lavoro la presenza di concentrazioni pericolose di sostanze infiammabili o quantità pericolose di sostanze chimicamente instabili

5. Laddove la natura dell’attività lavorativa non consenta di prevenire sul luogo di lavoro la presenza di concentrazioni pericolose di sostanze infiammabili o quantità pericolose di sostanze chimicamente instabili non aver:
a) evitato la presenza di fonti di accensione che potrebbero dar luogo a incendi ed esplosioni, o l’esistenza di condizioni avverse che potrebbero provocare effetti fisici dannosi ad opera di sostanze o miscele di sostanze chimicamente instabili;
b) limitato, anche attraverso misure procedurali ed organizzative previste dalla normativa vigente, gli effetti pregiudizievoli sulla salute e la sicurezza dei lavoratori in caso di incendio o di esplosione dovuti all’accensione di sostanze infiammabili, o gli effetti dannosi derivanti da sostanze o miscele di sostanze chimicamente instabili.

6. Non aver messo a disposizione attrezzature di lavoro e non aver adottato sistemi di protezione collettiva ed individuale conformi alle disposizioni legislative e regolamentari pertinenti, in particolare per quanto riguarda l’uso dei suddetti mezzi in atmosfere potenzialmente esplosive.

7. Non aver adottato misure atte ad assicurare un sufficiente controllo degli impianti, apparecchi e macchinari, tra l’altro non mettendo a disposizione sistemi e dispositivi finalizzati alla limitazione del rischio di esplosione o dispositivi per limitare la pressione delle esplosioni.

8. Non aver informato i lavoratori del superamento dei valori limite di esposizione professionale, delle cause dell’evento e delle misure di prevenzione e protezione adottate* ovvero per non averne dato comunicazione all’organo di vigilanza.
( * per i preposti nei confronti dei quali è dato ritenere in ipotesi contestabile solo la prima parte della violazione si applica la sanzione minore di cui all’art 90 lett B DLGVO 626/94)
TABELLA II segue …

Art. 60-septies (Disposizioni in caso di incidenti o di emergenze) –
1. ( Ferme restando le disposizioni di cui agli articoli 12 e 13 e al decreto ministeriale 10 marzo 1998 ), Non aver predisposto procedure di intervento adeguate al fine di proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori, da attuarsi al verificarsi di incidenti o di emergenze derivanti dalla presenza di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro.
Non aver fatto effettuare esercitazioni di sicurezza da effettuarsi a intervalli regolari e non aver messo a disposizione appropriati mezzi di pronto soccorso.

2, Non aver adottato, , nel caso di incidenti o di emergenza, immediate misure dirette ad attenuarne gli effetti ed in particolare, di assistenza, di evacuazione e di soccorso e per non avere informato i lavoratori.
Non aver adottato inoltre misure adeguate per porre rimedio alla situazione quanto prima.

3. Non aver fornito ai lavoratori cui è consentito operare nell’area colpita o ai lavoratori indispensabili all’effettuazione delle riparazioni e delle attività necessarie, indumenti protettivi, dispositivi di protezione individuale ed idonee attrezzature di intervento ovvero non averle fatte utilizzare sino a quando persiste la situazione anomala.

4. Non aver adottato le misure necessarie per approntare sistemi d’allarme e altri sistemi di comunicazione necessari per segnalare tempestivamente l’incidente o l’emergenza.

5. Non aver inserito le misure di emergenza nel piano di cui al decreto 10 marzo 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 81 del 7 aprile 1998, ed in particolare non aver inserito nel piano :
a) informazioni preliminari sulle attività pericolose, sugli agenti chimici pericolosi, sulle misure per l’identificazione dei rischi, sulle precauzioni e sulle procedure, in modo tale che servizi competenti per le situazioni di emergenza possano mettere a punto le proprie procedure e misure precauzionali;
b) qualunque altra informazione disponibile sui rischi specifici derivanti o che possano derivare dal verificarsi di incidenti o situazioni di emergenza, comprese le informazioni sulle procedure elaborate in base al presente articolo.

6.Non aver assicurato che i soggetti non protetti abbandonino immediatamente la zona interessata da incidente od emergenza.

Art. 60-novies (Divieti). –
1 .Aver effettuato o consentito la effettuazione di produzione, lavorazione ed impiego degli agenti chimici vietati, sul lavoro ovvero l’espletamento delle attività vietate indicate all’allegato VIII-quinquie. .salvo che l’agente vietato sia presente in un preparato, o quale componente di rifiuti, e sempre purché la concentrazione individuale sia inferiore al limite indicato nello stesso allegato ( e fatte salve le deroghe autorizzate dal terzo comma: (a) attività a fini esclusivi di ricerca e sperimentazione scientifica, ivi comprese le analisi; b) attività volte ad eliminare gli agenti chimici che sono presenti sotto forma di sottoprodotto o di rifiuti; c) produzione degli agenti chimici destinati ad essere usati come intermedi ) .

4. Non aver evitato l’esposizione dei lavoratori, nel caso di deroga per produzione degli agenti chimici destinati ad essere usati come intermedi, ( co 3° lett c ) . stabilendo che la produzione e l’uso più rapido possibile degli agenti come prodotti intermedi avvenga in un sistema chiuso dal quale gli stessi possono essere rimossi soltanto nella misura necessaria per il controllo del processo o per la manutenzione del sistema.

3 e 5. Aver fatto svolgere le attività in regime di deroga ( co 3 ) senza aver ottenuto la apposita autorizzazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ( la richiesta deve altresì essere corredata dalle seguenti informazioni: a) i motivi della richiesta di deroga; b) i quantitativi dell’agente da utilizzare annualmente; c) il numero dei lavoratori addetti; d) descrizione delle attività e delle reazioni o processi; e) misure previste per la tutela della salute e sicurezza e per prevenire l’esposizione dei lavoratori.)

Art. 60-decies (Sorveglianza sanitaria).
7. Nel caso in cui all’atto della sorveglianza sanitaria si sia evidenziato, in un lavoratore o in un gruppo di lavoratori esposti in maniera analoga ad uno stesso agente, l’esistenza di effetti pregiudizievoli per la salute imputabili a tale esposizione o il superamento di un valore limite biologico, non aver :
a) sottoposto a revisione la valutazione dei rischi effettuata a norma dell’articolo 60-quater;
b) sottoposto a revisione le misure predisposte per eliminare o ridurre i rischi;
c) tenuto conto del parere del medico competente nell’attuazione delle misure necessarie per eliminare o ridurre il rischio;
d) preso le misure atte ad assicurare che sia effettuata una visita medica straordinaria per tutti gli altri lavoratori che hanno subito un’analoga esposizione.


TABELLA III

Condotte omissive meno gravi ipotizzabili nei confronti dei datori di lavoro e/o dirigenti o dei preposti sanzionate rispettivamente dall’art. 89 2° co lett B) e dall’art 90 lett B DLGVO 626/94

Art. 60-decies (Sorveglianza sanitaria).
1. Non aver sottoposto alla sorveglianza sanitaria i lavoratori esposti agli agenti chimici pericolosi per la salute classificabili come molto tossici, tossici, nocivi, sensibilizzanti, irritanti, tossici per il ciclo riproduttivo, ( sempre che non si s sia in presenza del rischio “ moderato” individuato dall’art 60-quinquies, comma 2 all’esito della valutazione . )
2. Non aver sottoposto lavoratore a sorveglianza sanitaria: a) prima di adibirlo alla mansione che comporta esposizione; b) periodicamente, di norma una volta l’anno o con periodicità diversa decisa dal medico competente con adeguata motivazione riportata nel documento di valutazione dei rischi e resa nota ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori, in funzione della valutazione del rischio e dei risultati della sorveglianza sanitaria; c) all’atto della cessazione del rapporto di lavoro.
3. Non aver assicurato l’effettuazione del monitoraggio biologico obbligatorio per i lavoratori esposti agli agenti per i quali è stato fissato un valore limite biologico o non aver informato il lavoratore interessato.
Non aver allegato i risultati del monitoraggio biologico , in forma anonima, al documento di valutazione dei rischi o non aver comunicato i relativi risultati ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori.
5. Non aver adottato , su conforme parere del medico competente, le misure preventive e protettive particolari necessarie per singoli lavoratori, sulla base delle risultanze degli esami clinici e biologici effettuati, ivi compresso l’allontanamento del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 8 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277.







TABELLA III bis

Condotte omissive meno gravi ipotizzabili nei confronti dei solo datori di lavoro e/o dirigenti in materia di informazione e di formazione specifica, art 60 octies, sanzionate dall’art. 89 2° co lett B) DLGVO 626/94

Art. 60-octies (Informazione e formazione per i lavoratori).
1. Non aver messo a disposizione dei lavoratori ode i loro rappresentanti:
a) i dati ottenuti attraverso la valutazione del rischio e ulteriori informazioni ogni qualvolta modifiche importanti sul luogo di lavoro determinino un cambiamento di tali dati;
b) le informazioni sugli agenti chimici pericolosi presenti sul luogo di lavoro, quali l’identità degli agenti, i rischi per la sicurezza e la salute, i relativi valori limite di esposizione professionale e altre disposizioni normative relative agli agenti;
Non aver assicurato c) formazione ed informazioni su precauzioni ed azioni adeguate da intraprendere per proteggere loro stessi ed altri lavoratori sul luogo di lavoro;
Non aver consentito o assicurato d) accesso ad ogni scheda dei dati di sicurezza messa a disposizione dal fornitore ai sensi dei decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52 e 16 luglio 1998, n. 285, e successive modifiche.

2. Non aver assicurato che le informazioni siano: a) fornite in modo adeguato al risultato della valutazione del rischio di cui all’articolo 60-quater mediante comunicazioni orali o mediante formazione e addestramento individuali con il supporto di informazioni scritte, a seconda della natura e del grado di rischio rivelato dalla valutazione del rischio; b) aggiornate per tener conto del cambiamento delle circostanze.

3. Non aver provveduto , a rendere chiaramente identificabili la natura del contenuto dei contenitori e delle condutture per gli agenti chimici pericolosi nonché gli eventuali rischi connessi qualora siano utilizzati durante il lavoro agenti chimici pericolosi che non siano contrassegnati da segnali di sicurezza in base al DLGVO n. 493/96







C) Violazioni ascrivibili al medico competente : 60 decies co 3 primo periodo, e co 6°, 60 undecies

Per i medici competenti in ordine alle violazioni loro ascrivibili, appresso enucleate nella tabella IV, è stata prevista , ai sensi dell’art 90 lett A) DLGVO 626/94 la pena dell’arresto sino a due mesi o dell’ammenda da lire un milione a lire sei milioni, rectius, previa conversione giusta art 51 DECRETO LEGISLATIVO 24 giugno 1998, n. 213. da € 516 ad € 3098.
La scelta di sanzionare penalmente condotte omissive che incidono direttamente sulla organizzazione concreta ( schede , raccolta anonima dei dati e aggiornamento), e sulla effettività della sorveglianza sanitaria ( monitoraggio biologico ) nonché sui doveri di informazione interni ed esterni, appare ineccepibile.


TABELLA IV
Condotte omissive ipotizzabili nei confronti dei medici competenti ai sensi artt 60 decies 3° co primo periodo e art. 60-undecies, sanzionate dall’art. 92 lettA) DLGVO 626/94

Art. 60-decies (Sorveglianza sanitaria). –
3. Non aver assicurato l’effettuazione del monitoraggio biologico obbligatorio per i lavoratori esposti agli agenti per i quali è stato fissato un valore limite biologico o non aver informato il lavoratore interessato.

Art. 60-undecies (Cartelle sanitarie e di rischio). –
1. Aver omesso di istituire ed aggiornare, per ciascuno dei lavoratori sosstoposti a sorveglianza sanitaria ex art 60 decies, una cartella sanitaria e di rischio custodita presso l’azienda, o l’unità produttiva, secondo quanto previsto dall’articolo 17, comma 1, lettera d),
Non avere fornito al lavoratore interessato tutte le informazioni in ordine ai risultati degli accertamenti sanitari Non aver rilasciato a richiesta del lavoratore copia della documentazione sanitaria
Non aver comunicato, in occasione delle riunioni periodiche di protezione e prevenzione dei rischi, i risultati anonimi collettivi degli accertamenti clinici e strumentali effettuati ovvero non aver fornito indicazioni circa il significato di detti risultati
Non aver indicato nella cartella di rischio i livelli di esposizione professionale individuali forniti dal Servizio di prevenzione e protezione
2. Non aver fornito su richiesta, agli organi di vigilanza copia della cartelle sanitarie e di rischio.
3. Non aver trasmesso all’ISPESL le cartelle sanitarie e di rischio del lavoratore, in caso di cessazione del rapporto di lavoro.




IL MODELLO DI PREVENZIONE DISEGNATO DAL DLGVO 626

IL NUOVO MODELLO DI PREVENZIONE DISEGNATO DALLA 626 , CON SPECIFICO RIGUARDO ALLE MISURE GENERALI DI TUTELA ED ALLA FIGURA DEL DATORE DI LAVORO

PAOLO FERRARO

Sostituto Procuratore della Repubblica
presso la Pretura Circondariale di Roma

1. L’originario modello di prevenzione degli infortuni sul lavoro e malattie professionali.


Fino alla seconda metà degli anni ‘50 la salute dei lavoratori costituiva una variabile dipendente del processo produttivo, e gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono stati considerati in buona sostanza un prezzo da pagare allo sviluppo industriale.

Il concetto di prevenzione, come doverosa adozione di misure e cautele destinate a proteggere l’incolumità e la salute dei lavoratori subordinati e la individuazione di un dovere generale di prevenzione e sicurezza, che fa capo al datore di lavoro, posto in posizione c.d. di garanzia, appartengono alla normativa della seconda metà degli anni ‘50.

I DPR 547/55, 164/’56 e 303/56 costituiscono infatti i primi organici testi normativi in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro, una prima importante risposta, segnata (come e’ naturale), dalle condizioni politiche e socioeconomiche del momento.

L’Italia appena uscita dalla seconda guerra mondiale, ed impegnata prioritariamente nella ricostruzione del patrimonio edilizio, aveva difatti riavviato la produzione industriale, riutilizzando macchinari ed impianti sopravvissuti, o comunque obsoleti.
Gli infortuni sul lavoro nel frattempo erano giunti nel 1955 alla cifra di oltre ottocentotrentaseimila con un aumento superiore al 50 % rispetto al 1948. (DATI INAIL).

Il legislatore italiano elaborò perciò, nel quadro di attuazione progressiva dei principi costituzionali, ed in risposta ad una forte pressione sindacale, un sistema normativo che prescindeva dalla intrinseca sicurezza degli impianti e delle macchine (sprovviste di sicurezza integrata).
Fu adottata la scelta primaria della protezione esterna dei macchinari, imponendo a corredo norme obbligatorie elaborate in funzione di impedire il contatto del lavoratore con le parti pericolose delle macchine. Da qui la analitica elencazione nel dpr 547/55, dei “dispositivi di sicurezza” delle “protezioni”, dei “ripari”, degli “schermi”, dei “carter”, dei “dispositivi di blocco della macchina” e cosi’ via.
A tale scelta facevano da corollario i precetti sulla dotazione di mezzi di protezione personale antinfortunistica ( caschi, scarpe antinfortunistiche, guanti da lavoro, occhiali di protezione) e sulle condotte da far tenere ai dipendenti ( divieti di interventi sui macchinari in movimento, disciplina della manutenzione etc).

Dunque si imposero norme obbligatorie, in buona parte ancora vigenti, volte essenzialmente ad impedire il contatto del lavoratore con gli organi in movimento e/o le parti pericolose delle macchine, accompagnando i precetti a sanzioni penali, in caso di omissioni di cautele doverose da parte die soggetti responsabili..

La longevità di tale normativa, ancora vigente ad oltre 40 anni di distanza, riposa proprio nell’aver formulato norme astratte valide per qualsiasi tipo di attrezzatura e di macchinari.
A tale normativa va riconosciuto inoltre il merito di aver individuato per la prima volta i principi portanti in ordine al ruolo ed alla responsabilità dei datori di lavoro, dirigenti e preposti, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, mentre la stessa elaborazione giurisprudenziale dei princìpi afferenti la delega di funzioni e responsabilità nelle organizzazioni di impresa, ha fortemente contribuito alla tendenziale stabilità del detto sistema normativo.

Nel DPR 547 la riduzione ipotetica del rischio da infortunio viene perseguita segregando le parti pericolose della macchina, e allontanando da questa l’operatore: la minore funzionalità ed accessibilità della macchina, “segregata” nelle protezioni, e la consuetudine ripetitiva con il lavoro organizzato , istigano il lavoratore a rimuovere il dispositivo di sicurezza o il riparo che “dà fastidio” durante il lavoro.

Viene garantito quindi il lavoratore, anche il più distratto, adottando misure e cautele che “oggettivamente” appunto, siano in grado di eliminare in astratto ogni possibilità di infortunio, anche contro la volontà del lavoratore stesso

Ma la soluzione adottata si e’ rivelata inidonea ad assicurare il concreto fine di prevenire effettivamente gli infortuni, mentre le mutate esigenze dell’organizzazione del lavoro e le nuove occasioni di rischio e patologia prendevano forme nuove e non suscettibili di agevole inquadramento nell’ancient sistema normativo.

Nel 1963 veniva toccata la punta di 1.306.765 infortuni nel solo comparto industriale, oscillando poi sempre intorno al milione l’anno complessivo gli infortuni denunciati.
( nel 1991 1.212.910 infortuni, nel 1992 1.183.766 infortuni, nel 1993 1.061.532 infortuni, nel 1994 973.548 infortuni).DATI INAIL

Tra le numerose cause “ istituzionali “ del fallimento di fatto del sistema di prevenzione elenco la iniziale disapplicazione del sistema punitivo da parte degli organi preposti all’accertamento e poi della stessa magistratura almeno sino all’inizio degli anni ‘70, l’inidoneità del sistema ispettivo e di vigilanza, affidato ad organi decentrati dell’apparato del Ministero del Lavoro, e la strutturale inadeguatezza dell’intervento penale a contribuire ad assicurare, sia pure indirettamente la sicurezza del lavoro.
Anche se alla magistratura della seconda metà degli anni 70 va riconosciuto di aver attivato, stimolato ed organizzato il funzionamento effettivo della procedure affidate dalla legge all’allora Pretore penale.

Con la legge di riforma sanitaria 833/’78, sono state poi affidate agli organi pubblici sul territorio ( USL) le funzioni di vigilanza controllo e prevenzione, attraverso la diretta valutazione dei rischi nel luogo di lavoro. Quindi un ruolo estremamente incisivo, di tutela ( quasi) oltreché di controllo e vigilanza

Ma i dati sul fenomeno infortunistico hanno continuato a mostrato il ritardo complessivo del nostro paese, che annovera infortuni mortali in numero doppio rispetto alla Germania e infortuni in genere in numero sei volte maggiore rispetto a quelli che si verificano in Inghilterra.

2. Le direttive CEE ed il nuovo modello di prevenzione degli infortuni e malattie professionali


Il mercato europeo dal canto suo esigeva che le regole della sicurezza fossero le medesime in tutti i paesi membri produttori di beni e di servizi.
Le direttive e norme di derivazione europea, elaborate in un contesto privo dell’apparato sanzionatorio creato in Italia, hanno progressivamente disegnato un sistema prevenzionale ispirato a principi affatto diversi, secondo il quale :

1) i pericoli per l’incolumità e la salute dei lavoratori, non dipendono tanto dalla carenza di protezioni “oggettive” delle macchine, quanto dalle modalità di loro utilizzazione nell’ambiente di lavoro;

2) la sicurezza deriva dalla analisi e conoscenza dinamica del processo produttivo, conoscenza che può essere acquisita solo definendo le procedure necessarie e le soluzioni organizzatorie coerenti con il fine, e rendendole obbligatorie;

3) Il fine di prevenzione concretamente raggiungibile ( senza inseguire il mito del “ rischio zero “), dipende dalla formazione, informazione e preparazione dei soggetti nel luogo di lavoro e dalla loro partecipazione al processo organizzato di prevenzione;

4) occorre responsabilizzare direttamente i soggetti investiti degli obblighi procedurali, individuando forme di autocontrollo e di autocertificazione, che li pongano al centro del processo di prevenzione.

Una vera e propria rivoluzione copernicana, ed un potenziale ribaltamento del modello generale di prevenzione in Italia.

Difatti l’attuazione delle direttive CEE comportava, come è stato da più parti osservato, un duplice passaggio, potenzialmente netto: dal sistema dei “precetti” a quello delle “procedure” e dal sistema dei “controlli esterni” a quello dell’ ”autocontrollo e della programmzione della sicurezza all’interno del luogo di lavoro”.


Con il DLvo 277/91, di attuazione delle direttive CEE n.80/1107, 82/605, 83/477, 86/1888, e 88/642 in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro ( piombo, amianto e rumore), il processo di adeguamento dell’ordinamento italiano era stato già avviato.

Nel 1994 con il DLvo 758 del 19/12/’94 viene ridefinito il procedimento di accertamento delle violazioni alla normativa prevenzionale, confermando la conservazione del corpo normativo e sanzionatorio preesistente. salvo depenalizzazione espressa di fattispecie minori e ridisegnando però il rapporto tra accertamento, regolarizzazione delle violazioni accertate, e procedimento penale.
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Con il DLvo 626 del 19/9/1994, in attuazione delle direttive CEE 89/391, 89/654, 89/655, 89/656, 90/269, 90/270, 90/394 e 90/679, in materia di miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori, ( integrato e corretto dal DLvo n. 242 del 19/3/1996) si e‘ completato il processo normativo di adeguamento del nostro ordinamento.


A bocce relativamente ferme, ( attesa la copiosa produzione normativa di settore intervenuta sino all’Ottobre 96) può oggi già correggersi il tiro rispetto a taluni giudizi estremi sulla (paventata od) auspicata riforma

Sebbene il DLvo 626 abbia ridisegnato i tratti essenziali del modello di prevenzione, introducendo gigantesche novità, ha infatti lasciato concretamente in vigore la gran parte delle norme tecniche ( precetti specifici) contenute nei DPR degli anni ‘55 e ‘56, a parte la modificazione espressa di alcuni articoli e l’abrogazione tacita di quelli incompatibili.

E’ stato scelto pertanto in primo luogo un sistema misto e si trattava di una scelta obbligata: la nuova disciplina “procedurale” della prevenzione non elimina la necessità di specifiche norme tecniche e di prevedere presidi specifici a tutela dei lavoratori.

Inoltre va ricordato che mentre nel resto dell’Europa non esiste alcun meccanismo sanzionatorio penale, e’ rimasto ferma la scelta normativa della sanzione penale degli obblighi che siano rimasti inadempiuti, nonostante le prescrizioni degli UPG delle USL addetti alla sorveglianza, obblighi vecchi e nuovi, posti in capo al datore di lavoro, ai dirigenti e preposti .

Infine va confermato che un significativo rivolgimento ha inciso sul ruolo dei servizi di prevenzione e vigilanza delle USL.
Difatti l’art. 20 della legge 833 di riforma sanitaria attribuiva alle USL la maggior parte dei compiti di prevenzione ( dalla valutazione dei rischi, all’individuazione delle misure di prevenzione, all’informazione e formazione, alla sorveglianza sanitaria ecc.). Ebbene il decreto 626/94 lascia ai servizi praticamente la sola vigilanza sull’applicazione delle norme ed assegna ad altri soggetti le effettive funzioni di prevenzione: ai datori di lavoro, al servizio di prevenzione e protezione, al medico competente.
( mentre impone un nuovo ed adeguato modello di informazione sui rischi per la sicurezza e la salute connessi all’attività dell’impresa)

In conclusione il sistema introdotto ’:
  • e’ un sistema misto, di precetti e procedure;
  • fissa obblighi ancora od ex novo sanzionati penalmente, nel caso di inadempimento delle prescrizioni degli organi di vigilanza;
  • ha riportato al centro della programmazione e predisposizione della sicurezza il luogo di lavoro responsabilizzando il datore di lavoro, nella sua autonomia, ma vincolandolo al rispetto delle procedure, ed in particolare alla elaborazione del documento di sicurezza;
  • ha riattribuito alla informazione, partecipazione e cultura della prevenzione ed alla partecipazione dei diversi soggetti operanti nell’azienda (ed in particolare ai lavoratori e loro rappresentanze) un ruolo nuovo ed essenziale .

Tra le novità più significative in termini di normazione:
  • ha definito per la prima volta espressamente in particolare la figura del datore di lavoro
  • ha creato la figura del servizio di prevenzione quale organo ausiliario del datore di lavoro, con funzioni consultive e promozionali;
  • ha attribuito alla figura del medico competente funzioni di sorveglianza sanitaria e disciplinato in modo organico la sorveglianza sanitaria per ciascun tipo di rischio
  • ha poi integrato e modificato la normativa in settori specifici di tutela ( Requisiti dei luoghi di lavoro, disciplina ed uso delle attrezzature di lavoro, disciplina ed uso dei dispositivi di protezione individuale, )
  • ha inoltre introdotto una disciplina organica della movimentazione manuale dei carichi, dell’uso di attrezzatute munite di videoterminali, della protezione da agenti cancerogeni e da agenti biologici ;
  • Ha infine espressamente chiarito quali siano gli organi della pubblica amministrazione che hanno funzioni generali o specifiche di sorveglianza ( art. 23 )

3. Il DLvo 626 del 19/9/1994 integrato e corretto dal DLvo n. 242 del 19/3/1996


A - Ambiti di applicazione: 1 - natura della attività
La nuova disciplina si applica in tutti i settori di attività privati o pubblici, tenendo conto però , per i soggetti pubblici espressamente elencati nel 2° co. dell’art. 2 , delle particolari esigenze connesse al servizio espletato, e rinviando per la individuazione delle stesse ai decreti del Ministero competente di concerto con il Ministero del Lavoro e e della Previdenza sociale, della sanità e della funzione pubblica.
La deroga oggetto di infinite “contrattazioni” , nasce dalla specifica attenzione alle possibili interferenze e conflitti tra le le fimalità istituzionali e la tutela prevenzionale, ed in questo contesto anche dalla preoccupazione per l’impatto che la diffusa responsabilizzazione comporta ( per i dirigenti con potere di gestione o funzionari preposti ad uffici aventi autonomia gestionale) proprio in quei settori nei quali possono confliggere più interessi primari concorrenti.

C’e peraltro da augurarsi che i dccreti concertati salvino i principi di tutela fondamentali e articolino le deroghe nel rispetto di tutti gli interessi pubblici concorrenti ( chi riuscirà mai a spiegare perche’ un addetto ai videoterminali in un commissariato di P.S. o nella segreteria di un liceo scientifico debba essere meno tutelato in modo diverso, e per converso un dirigente di istituto bancario possa essere mandato a giudizio per violazione della normativa di cui al titolo VI del DLvo 626, ma non un direttore di istituto carcerario ?! ).

A - Ambiti di applicazione: - 2 definizione di lavoratore

Ulteriore delimitazione del campo di applicazione deriva dalla individuazione soggettiva dei lavoratori quale contenuta nell’ art. 2 co 1 lett. a). che esclude gli addetti ai servizi domestici e familiari, ma estende la tutela ad una serie di categorie, parificate ai lavoratori subordinati, e per le quali nel passato vi erano stati vari problemi interpretativi.


B - Generalità

Il decreto 626/94 ha accuratamente delineato un percorso prevenzionale unitario, programmato e procedimentalizzato mediante la individuazione di :

I) principi o misure generali di tutela

II) soggetti e loro obblighi

III) strumenti organizzativi
- l’istituzione dei servizi di prevenzione e protezione
- la nomina del medico competente
- la designazione degli incaricati della prevenzione
incendi, dell’evacuazione e del pronto soccorso
- l’istituzione del rappresentante per la sicurezza
IV) strumenti di gestione
- la valutazione dei rischi
- la consultazione e la partesipazione dei lavoratori e del
loro rappresentante
- la formazione e l’informazione dei lavoratori


In tale contesto unitario si apprezza come non meramente programmatica, la accurata elencazione delle misure generali di tutela (art. 3 )
E del pari fondamentale e’ la analitica definizione ( e finalmente corretta individuazione) dei soggetti od organismi destinati a partecipare al detto percorso prevenzionale ( artt 2 ed 8) nonchè la accurata individuazione degli obblighi del datore di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ( art. 4), la ( ora) precisa classificazione degli obblighi propri e non delegabili del datore di lavoro. ( art. 1 co 4 ter ).

Anche a tal fine particolare rilievo presenta la definizione di unità produttiva quale stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni e servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnico produttiva.

Una analitica dissertazione su ciascuno dei profili indicati non e’ possibile in questa sede, ma una elencazione descrittiva appare utile e proficua per consentire un più agevole approccio al modello di sicurezza e prevenzione cosi’ come congegnato.

B - I ) Misure generali di tutela: principi e direttive art 3


Risultano articolate ed espressamente elencate le misure generali per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori; tali misure costituiscono al contempo il manifesto programmatico della sicurezza in qualsiasi ambiente di lavoro, cioè le direttive cui deve attenersi il datore di lavoro ed al contempo il contenuto generico degli obblighi posti in capo a quest’ultimo(art. 3)

In realtà a ben vedere tali “ direttive” costituendo, il prodotto delle migliori conoscenze specialistiche nella elencazione di obiettivi articolati, sono riconducibili al dovere generale di sicurezza.

B I a) GENERALI quale diretta estrinsecazione normativa del canone fondamentale già sancito nel nostro ordinamento nel CC del ‘42 ( art 2087 CC);

(O) misure di protezione collettiva ed individuale;
(G) priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
(N) misure igieniche;
(R) regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine od impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alle indicazioni dei fabbricanti;
(T) istruzione adeguata ai lavoratori

B I b) SPECIFICI quali articolazione tradizionale di tali principio, ricavabile direttamente dalla normazione preesistente

(C) riduzione dei rischi alla fonte;
(E) sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
(I) utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici, sui luoghi di lavoro;
(L) controllo sanitario dei lavoratori in funzione dei rischi specifici;
(M) allontanamento del lavoratore dall’esposizione al rischio, per motivi inerenti alla sua persona;
(Q) uso dei segnali di avvertimento e di sicurezza;

(H) limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o possono essere esposti al rischio;
(B) eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non è possibile, loro riduzione al minimo

B I c) SPECIFICI NUOVI, quale nuova articolazione resa possibile dallo sviluppo delle conoscenze e necessaria dallo svilupparsi di nuove patologie

(F) rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e ripetitivo;

B I d) PROCEDURALI, in quanto più direttamente collegati alla nuova articolazione delle procedure finalizzate alla assicurazione dell’obiettivo della sicurezza

(A) valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;
(D) programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integra in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative dell’azienda, nonchè l’influenza dei fattori dell’ambiente di lavoro;
(P) misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave ed immediato;
(S) informazione, formazione, consultazione e partecipazioni dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro.

B - 2 I SOGGETTI E LORO OBBLIGHI


Il DLvo 626, con una tecnica normativa in parte nuova nel nostro ordinamento ha fornito la “ definizione” dei soggetti che sono responsabili ovvero concorrono al processo di attuazione delle misure di sicurezza e prevenzione (art. 2) ricomprendendovi il rappresentante dei lavoratori , individuando inoltre il servizio di prevenzione e protezione (art. 8) e la figura del relativo responsabile ( art, 2 lett f),ed indicando infine il medico competente come responsabile della sorveglianza sanitaria (art. 17).
.
Inoltre ha fornito , secondo tecnica questa volta ben consolidata nel nostro ordinamento, precetti generali relativi agli obblighi del datore di lavoro dei dirigenti e preposti(artt. 4), precisando ed ampliando poi gli obblighi che fanno capo ai lavoratori (art.5)

Di particolare pregio sono poi le norme che hanno ridisegnato gli obblighi dei fabbricanti, venditori, noleggiatori e concedenti in leasing di macchine (art. 6) estendendo responsabilità ai progettisti, e le norme che hanno riformulato gli obblighi del datore di lavoro in caso di appalto (art. 7) .

Ritengo utile richiamare le definizioni dei diversi soggetti adottate, riservandomi di analizzare poi dettagliatamente la figura del datore di lavoro, quale titolare degli obblighi collegati al dovere generale di sicurezza.

b2.1. LAVORATORE: persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro, con rapporto di lavoro subordinato anche speciale.

b2.2. MEDICO COMPETENTE: persona munita di titolo di specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed igiene del lavoro o in clinica del lavoro ( ed altre specializzazioni individuate, ove necessario, con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica) ovvero docente o libero docente in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed igiene del lavoro , ovvero laureato in medicina e chirurgia appositamente autorizzato con decreto dell’Assessore regionale alla Sanità , dopo aver svolto per almeno 4 anni attività di medico del lavoro (art 55 DLvo 277/,91
b2.3 RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI: persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro.

SERVIZIO DI PREVENZIONE: insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali nell’azienda, ovvero nell’unità produttiva.


B2.4. IL DATORE DI LAVORO


La prima definizione di “datore di lavoro” delineata all’art. 2, lett. b) del decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626 era stata ricalcata da quella della direttiva europea nr. 89/391, senza tener conto della sottostante diversità di sistemi ed esperienze giuridiche.

Definire datore di lavoro “la persona fisica o giuridica od il soggetto pubblico che e’ titolare del rapporto con il lavoratore ed abbia la responsabilità dell’impresa ovvero dello stabilimento” costituiva per il nostro ordinamento, improntato al principio della responsabilità penale personale, un vero e proprio “pastrocchio”. Una nozione inutilizzabile ed ancor più radicalmente incompatibile con la concreta disciplina delle società , nelle quali e’ tipica la scissione tra la titolarità del rapporto con il lavoratore e la responsabilità dell’impresa.
Per non parlare della pubblica amministrazione, ove la titolarità del rapporto di lavoro e’ riconducibile esclusivamente alla persona giuridica pubblica.
La nuova versione dell’art. 2 lett. b) del DLvo l. n.626/94 ha avuto ragione della vera e propria svista originaria indicando che per datore di lavoro persona titolare del dovere di sicurezza e responsabile degli obblighi imposti nel sistema prevenzionale della 626 deve intendersi “ il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque , il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa , ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva “ intesa come “stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni o servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnico-funzionale ”.

In buona sostanza la nozione di datore di lavoro in ossequio al consolidato principio di effettività, elaborato dalla giurisprudenza sotto il vigore dell’art. 4 DPR 547/’55, e’ stata quindi comunque ricondotta al soggetto titolare dei poteri propri di decisione e di spesa ( in uno stabilimento o struttura dotati di effettiva autunomia).
Tale nozione e’ direttamente applicabile a qualunque tipologia di impresa o figura giuridica articolata e complessa, e risolve in buona parte gli stessi problemi interpretativi sorti in casi di holdings ed imprese strutturate in distinte unità produttive, ma anche dinanzi alle amministrazioni pubbliche centrali ed agli enti pubblici non economici.

Nel solo caso di di impresa individuale vi e’ invece un’imputazione diretta della titolarità del rapporto di lavoro ad una persona fisica.

Ha prevalso quindi la ragionevolezza e l’autorevolezza della impostazione giuridica che conduce ad individuare l’effettivo datore di lavoro, senza riguardo ad investiture formali, ma con attenzione alla posizione gerarchica sopraordinata, che comporta potere di decidere e di attuare le decisioni dal punto di vista economico e funzionale.
E’ questi il soggetto persona fisica, posto in posizione di garanzia dall’ordinamento, e titolare del dovere di sicurezza.

B 2.4 bis IL DATORE DI LAVORO PUBBLICO

Su questa scia si pone la norma del DLvo 626 che, con riferimento alle pubbliche amministrazioni, ha chiarito che deve ritenersi datore di lavoro il dirigente al quale spettino i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, qualora sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale.
La figura indicata corrisponde, come era ragionevole attendersi, a quella concreta del dirigente della pubblica amministrazione,
L’art. 3 del D.Lvo n. 29/93, in tema di razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina del impiego ha infatti attribuito ai dirigenti pubblici “la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa verso l’esterno, mediante autonomi poteri di spesa , di organizzazione delle risorse umane e strumentali di “chiarendo che essi “sono responsabili della gestione e dei relativi risultati”.
Viene dunque confermato anche per la pubblica amministrazione la necessità di individuare la persona titolare di autonomi poteri di intervento, gestione ed amministrazione.

Ma dinanzi al noto fenomeno della scissione tra piu soggetti pubblici del potere-dovere di segnalare (la carenza di misure antinfortunistiche e richiederne la realizzazione) , potere di decisione e potere di spesa, il legislatore ha inteso riaffermare il principio fondamentale, secondo il quale da nessuno può essere pretesa una condotta che implica poteri di cui il soggetto non dispone.
L’art 4 co 12 del DLvo 626 chiarisce difatti che “gli obblighi relativi ad interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso alle pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme e convenzioni. alla loro fornitura e manutenzione. In tal caso gli obblighi previsti dal presente decreto i si intendono assolti ,da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico.”

B 2.4 ter - OBBLIGHI E RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO E DEI DIRIGENTI. LA DELEGA DI FUNZIONI


Nella prima versione il DLvo 626, con un’altra scelta infelice, individuava tutta una vasta gamma di obblighi posti direttamente in capo al datore di lavoro ed altresì sanzionati penalmente solo a carico di questi ( art 89 co 2° ); mentre solo per alcuni era prevista sanzione indifferentemente a carico del datore di lavoro e del dirigente (art. 89 co 1°)
Il legislatore aveva posto mente alla differenziazione tra obblighi propulsivi legati ai compiti programmatici propri del datore ed obblighi di natura più squisitamente attuativa ( ricadenti anche nei compiti dei dirigenti ).
Come a suo tempo rilevato la scelta scardinava il consolidato principio di delegabilità delle funzioni, senza tener conto adeguatamente della realtà organizzativa delle grandi strutture produttive.
Ai dirigenti validamente delegati non si sarebbero potute estendere le sanzioni in caso di omissioni, mentre si poneva il problema di una responsabilità troppo incisiva e verticalizzata in capo al datore di lavoro.
Con il DLvo 242/96 ( non a caso chiamato decreto di correzione) e’ stato però opportunamente riformulato l’art. 89, prevedendo sanzioni a carico di datore e dirigenti per la buona parte delle violazioni di precetti del 626. Nell’ambito di tali previsioni si riespande perciò pienamente ed in modo coerente l’istituto della delega, cosi’ come elaborato dalla giurisprudenza.

Delega che non costituisce si badi lo strumento per scaricare verso il basso le responsabilità del datore di lavoro ma ha costituito lo strumento tipicamente organizzatorio di ripartizione e concreta
attuazione dei compiti connessi al dovere di sicurezza .in particolare nelle grandi aziende.
Alla giurisprudenza va riconosciuto il merito di aver eleborato i criteri di valutazione della delega in sede penale , con occhio attento ai canoni di effettività e concretezza.
Secondo tale consolidata elaborazione la delega può liberare dalla responsabilità il datore di lavoro, in ipotesi di omissioni del delegato, vero o fittizio, solo in quanto:
  • sia plausibile in ragione delle dimensioni e necessità organizzative dell’azienda
  • sia attribuita a persona esperta e competente;
  • sia rilasciata in forma scritta o comunque idonea a provarne l’esistenza e l’effettivo contenuto;
  • conferisca effettivi ed adeguati poteri decisionali e di spesa
Inoltre occorre che:
  • il datore di lavoro non si ingerisca attivamente nell’esercizio delle attribuzioni del delegato
  • la delega non concerna adempimento di obblighi strutturali e programmatici esclusivamente riferibili al datore di lavoro
  • infine il datore di lavoro non sia comunque posto a conoscenza delle violazioni esistenti o commesse dal delegato

L’istituto della delega cosi’ come elaborato dalla giurisprudenza presupponeva la qualificazione delle fattispecie penali in materia prevenzionale come reati “propri” imputabili al datore di lavoro (ed anche) ai dirigenti e preposti. (art 4 Dpr 547/’55). Il conferimento di funzioni di gestione perciò poteva comportare una diversificata imputazione della responsabilità penale.
Le modifiche apportate nel DLvo 626 hanno quindi opportunamente allineato la nuova normativa prevenzionale ai detti principi, consolidati.
Il datore di lavoro rimane esclusivo titolare del dovere di sicurezza posto in posizione di garanzia ma può validamente delegare ai dirigenti l’attuazione di misure ed obblighi, salvo eccezioni tassative.
I dirigenti validamente delegati risponderanno in prima persona della mancata ottemperanza.
A tal proposito opportuna e coerente appare l’aggiunta del comma 4 bis all’art, 1 del decreto n. 626/94, che espressamente dispone: i dirigenti ed i preposti che dirigono o sovraintendono le attività attraverso le quali il datore di lavoro attua le misure generali di tutela dei lavoratori sono personalmente tenuti all’osservanza delle disposizioni del decreto

B 2.4 quater - OBBLIGHI E RESPONSABILITÀ ESCLUSIVI DEL DATORE DI LAVORO

Solo talune violazioni, connesse agli obblighi programmatici e procedurali basilari, sono quindi sanzionate esclusivamente a carico del datore di lavoro. , alla stregua della nuova formulazione del primo comma dell’art. 89. e non sono pertanto delegabili con efficacia liberatoria

Si tratta di violazioni inerenti il dovere di programmare la prevenzione, sui distinti piani della conoscenza ed eliminazione dei rischi alla fonte nonchè del continuo aggiornamento delle misure da adottare in relazione all’evoluzione tecnologica.

Tali violazioni sono in via generale quelle di cui ai comma 2,4 lettera a), 6,7 e 11 dell’art. 4 DLvo 626:
  • obbligo di designazione del responsabile del servizio doi prevenzione e protezione,
  • obbligo di procedere alla valutazione dei rischi ed all’elaborazione del documento tramite il concerto con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, con il medico competente, e con il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
  • obbligo di predisporre il documento di sicurezza ( all’esito della valutazione dei rischi);
  • obbligo di provvedere ed aggiornare la valutazione dei rischi ed il conseguente documento in occasione di modifiche del processo produttivo che possano avere influenza sulle esigenze di sicurezza del lavoro;
  • obbligo di autocertificazione dell’avvenuta effettuazione dellla valutazione dei rischi e della conseguente realizzazione dei necessari interventi di prevenzione e protezione su strutture, macchine ed impianti ( procedura semplificata per le aziende familiari e le piccole imprese con meno di dieci addetti, che non siano soggette a particolari fattori di rischio)

Sono poi previste ulteriori sanzioni nei confronti del solo datore, per la mancata effettuazione od aggiornamento della valutazione e per la mancata elaborazione del conseguente documento, in riferimento ai rischi da esposizione ad agenti cancerogeni od esposizione ad agenti biologici. ( art. 63, comma 1,4 e 5, art. 69, comma 5 lettera a), art. 78, comma 3 e 5 ed art . 86 comma 2 ter )