IL NUOVO MODELLO DI PREVENZIONE DISEGNATO DALLA 626 , CON SPECIFICO RIGUARDO ALLE MISURE GENERALI DI TUTELA ED ALLA FIGURA DEL DATORE DI LAVORO
PAOLO FERRARO
Sostituto Procuratore della Repubblica
presso la Pretura Circondariale di
Roma
1. L’originario modello di prevenzione degli infortuni sul lavoro e malattie professionali.
Fino alla
seconda metà degli anni ‘50 la salute dei lavoratori costituiva
una variabile dipendente del processo produttivo, e gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali sono stati considerati in buona
sostanza un prezzo da pagare allo sviluppo industriale.
Il
concetto di prevenzione, come doverosa adozione di misure e cautele
destinate a proteggere l’incolumità e la salute dei lavoratori
subordinati e la individuazione di un dovere generale di prevenzione
e sicurezza, che fa capo al datore di lavoro, posto in posizione c.d.
di garanzia, appartengono alla normativa della seconda metà degli
anni ‘50.
I DPR
547/55, 164/’56 e 303/56 costituiscono infatti i primi organici
testi normativi in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene
del lavoro, una prima importante risposta, segnata (come e’
naturale), dalle condizioni politiche e socioeconomiche del momento.
L’Italia
appena uscita dalla seconda guerra mondiale, ed impegnata
prioritariamente nella ricostruzione del patrimonio edilizio, aveva
difatti riavviato la produzione industriale, riutilizzando macchinari
ed impianti sopravvissuti, o comunque obsoleti.
Gli
infortuni sul lavoro nel frattempo erano giunti nel 1955 alla cifra
di oltre ottocentotrentaseimila con un aumento superiore al 50 %
rispetto al 1948. (DATI INAIL).
Il
legislatore italiano elaborò perciò, nel quadro di attuazione
progressiva dei principi costituzionali, ed in risposta ad una forte
pressione sindacale, un sistema normativo che prescindeva dalla
intrinseca sicurezza degli impianti e delle macchine (sprovviste di
sicurezza integrata).
Fu
adottata la scelta primaria della
protezione esterna dei macchinari,
imponendo a corredo norme obbligatorie elaborate in funzione di
impedire il contatto del lavoratore con le parti pericolose delle
macchine. Da qui la analitica elencazione nel dpr 547/55, dei
“dispositivi di sicurezza” delle “protezioni”, dei “ripari”,
degli “schermi”, dei “carter”, dei “dispositivi di blocco
della macchina” e cosi’ via.
A tale
scelta facevano da corollario i precetti sulla dotazione di mezzi
di protezione personale
antinfortunistica ( caschi, scarpe antinfortunistiche, guanti da
lavoro, occhiali di protezione) e sulle
condotte da far tenere ai dipendenti (
divieti di interventi sui macchinari in movimento, disciplina della
manutenzione etc).
Dunque si
imposero norme obbligatorie, in buona parte ancora vigenti, volte
essenzialmente ad impedire il contatto del lavoratore con gli organi
in movimento e/o le parti pericolose delle macchine, accompagnando i
precetti a sanzioni penali, in caso di omissioni di cautele doverose
da parte die soggetti responsabili..
La
longevità di tale normativa, ancora vigente ad oltre 40 anni di
distanza, riposa proprio nell’aver formulato norme astratte valide
per qualsiasi tipo di attrezzatura e di macchinari.
A tale
normativa va riconosciuto inoltre il merito di aver individuato per
la prima volta i principi portanti in ordine al ruolo
ed alla responsabilità
dei datori di lavoro, dirigenti e preposti,
nell’ambito delle rispettive attribuzioni, mentre la stessa
elaborazione giurisprudenziale dei princìpi afferenti la delega
di funzioni e responsabilità nelle organizzazioni di impresa,
ha fortemente contribuito alla tendenziale stabilità del detto
sistema normativo.
Nel DPR
547 la riduzione ipotetica del rischio da infortunio viene perseguita
segregando le parti pericolose della macchina, e allontanando da
questa l’operatore: la minore funzionalità ed accessibilità della
macchina, “segregata” nelle protezioni, e la consuetudine
ripetitiva con il lavoro organizzato , istigano il lavoratore a
rimuovere il dispositivo di sicurezza o il riparo che “dà
fastidio” durante il lavoro.
Viene
garantito quindi il lavoratore, anche il più distratto, adottando
misure e cautele che “oggettivamente” appunto, siano in grado di
eliminare in astratto ogni possibilità di infortunio, anche contro
la volontà del lavoratore stesso
Ma la
soluzione adottata si e’ rivelata inidonea ad assicurare il
concreto fine di prevenire effettivamente gli infortuni, mentre le
mutate esigenze dell’organizzazione del lavoro e le nuove occasioni
di rischio e patologia prendevano forme nuove e non suscettibili di
agevole inquadramento nell’ancient
sistema normativo.
Nel 1963
veniva toccata la punta di 1.306.765 infortuni nel solo comparto
industriale, oscillando poi sempre intorno al milione l’anno
complessivo gli infortuni denunciati.
( nel
1991 1.212.910 infortuni, nel 1992 1.183.766 infortuni, nel 1993
1.061.532 infortuni, nel 1994 973.548 infortuni).DATI INAIL
Tra le
numerose cause “ istituzionali “ del fallimento di fatto del
sistema di prevenzione elenco la iniziale disapplicazione del sistema
punitivo da parte degli organi preposti all’accertamento e poi
della stessa magistratura almeno sino all’inizio degli anni ‘70,
l’inidoneità del sistema ispettivo e di vigilanza, affidato ad
organi decentrati dell’apparato del Ministero del Lavoro, e la
strutturale inadeguatezza dell’intervento penale a contribuire ad
assicurare, sia pure indirettamente la sicurezza del lavoro.
Anche se
alla magistratura della seconda metà degli anni 70 va riconosciuto
di aver attivato, stimolato ed organizzato il funzionamento effettivo
della procedure affidate dalla legge all’allora Pretore penale.
Con la
legge di riforma sanitaria 833/’78, sono state poi affidate agli
organi pubblici sul territorio ( USL) le funzioni di vigilanza
controllo e prevenzione, attraverso la diretta valutazione dei
rischi nel luogo di lavoro. Quindi un ruolo estremamente incisivo, di
tutela ( quasi) oltreché di controllo e vigilanza
Ma i dati
sul fenomeno infortunistico hanno continuato a mostrato il ritardo
complessivo del nostro paese, che annovera infortuni mortali in
numero doppio rispetto alla Germania e infortuni in genere in numero
sei volte maggiore rispetto a quelli che si verificano in
Inghilterra.
2. Le direttive CEE ed il nuovo modello di prevenzione degli infortuni e malattie professionali
Il
mercato europeo dal canto suo esigeva che le regole della sicurezza
fossero le medesime in tutti i paesi membri produttori di beni e di
servizi.
Le
direttive e norme di derivazione europea, elaborate in un contesto
privo dell’apparato sanzionatorio creato in Italia, hanno
progressivamente disegnato un sistema prevenzionale ispirato a
principi affatto diversi, secondo il quale :
1) i
pericoli per l’incolumità e la salute dei lavoratori, non
dipendono tanto dalla carenza di protezioni “oggettive” delle
macchine, quanto dalle modalità di loro utilizzazione nell’ambiente
di lavoro;
2) la
sicurezza deriva dalla analisi e conoscenza dinamica del processo
produttivo, conoscenza che può essere acquisita solo definendo le
procedure necessarie e le soluzioni organizzatorie coerenti con il
fine, e rendendole obbligatorie;
3) Il
fine di prevenzione concretamente raggiungibile ( senza inseguire il
mito del “ rischio zero “), dipende dalla formazione,
informazione e preparazione dei soggetti nel luogo di lavoro e dalla
loro partecipazione al processo organizzato di prevenzione;
4)
occorre responsabilizzare direttamente i soggetti investiti degli
obblighi procedurali, individuando forme di autocontrollo e di
autocertificazione, che li pongano al centro del processo di
prevenzione.
Una vera
e propria rivoluzione copernicana, ed un potenziale ribaltamento del
modello generale di prevenzione in Italia.
Difatti
l’attuazione delle direttive CEE comportava, come è stato da più
parti osservato, un duplice passaggio, potenzialmente netto: dal
sistema dei “precetti” a quello delle “procedure”
e dal sistema dei “controlli esterni”
a quello dell’ ”autocontrollo e della programmzione della
sicurezza all’interno del luogo di lavoro”.
Con il
DLvo 277/91, di
attuazione delle direttive CEE n.80/1107, 82/605, 83/477, 86/1888, e
88/642 in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi
derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici
durante il lavoro ( piombo, amianto e rumore), il processo di
adeguamento dell’ordinamento italiano era stato già avviato.
Nel 1994
con il DLvo 758 del 19/12/’94
viene ridefinito il procedimento di accertamento delle violazioni
alla normativa prevenzionale, confermando la conservazione del corpo
normativo e sanzionatorio preesistente. salvo depenalizzazione
espressa di fattispecie minori e ridisegnando però il rapporto tra
accertamento, regolarizzazione delle violazioni accertate, e
procedimento penale.
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Con il
DLvo 626 del 19/9/1994, in
attuazione delle direttive CEE 89/391, 89/654, 89/655, 89/656,
90/269, 90/270, 90/394 e 90/679,
in materia di miglioramento della sicurezza e della salute dei
lavoratori, ( integrato e corretto dal DLvo n. 242
del 19/3/1996) si e‘
completato il processo normativo di
adeguamento del nostro ordinamento.
A bocce
relativamente ferme, ( attesa la copiosa produzione normativa di
settore intervenuta sino all’Ottobre 96) può oggi già correggersi
il tiro rispetto a taluni giudizi estremi sulla (paventata od)
auspicata riforma
Sebbene
il DLvo 626 abbia ridisegnato i tratti essenziali del modello di
prevenzione, introducendo gigantesche novità, ha infatti lasciato
concretamente in vigore la gran parte delle norme tecniche ( precetti
specifici) contenute nei DPR degli anni ‘55 e ‘56, a parte la
modificazione espressa di alcuni articoli e l’abrogazione tacita di
quelli incompatibili.
E’
stato scelto pertanto in primo luogo un sistema
misto e si trattava di una scelta
obbligata: la nuova disciplina “procedurale” della prevenzione
non elimina la necessità di specifiche norme tecniche e di prevedere
presidi specifici a tutela dei lavoratori.
Inoltre
va ricordato che mentre nel resto dell’Europa non esiste alcun
meccanismo sanzionatorio penale, e’ rimasto ferma la scelta
normativa della sanzione penale degli
obblighi che siano rimasti inadempiuti, nonostante le prescrizioni
degli UPG delle USL addetti alla sorveglianza,
obblighi vecchi e nuovi, posti in capo al datore di lavoro, ai
dirigenti e preposti .
Infine va
confermato che un significativo rivolgimento ha inciso sul ruolo dei
servizi di prevenzione e vigilanza delle USL.
Difatti
l’art. 20 della legge 833 di riforma sanitaria attribuiva alle USL
la maggior parte dei compiti di prevenzione ( dalla valutazione dei
rischi, all’individuazione delle misure di prevenzione,
all’informazione e formazione, alla sorveglianza sanitaria ecc.).
Ebbene il decreto 626/94 lascia ai servizi praticamente la sola
vigilanza sull’applicazione delle norme ed assegna ad altri
soggetti le effettive funzioni di prevenzione: ai datori di lavoro,
al servizio di prevenzione e protezione, al medico competente.
( mentre
impone un nuovo ed adeguato modello di informazione sui rischi per la
sicurezza e la salute connessi all’attività dell’impresa)
In
conclusione il sistema introdotto ’:
- e’ un sistema misto, di precetti e procedure;
- fissa obblighi ancora od ex novo sanzionati penalmente, nel caso di inadempimento delle prescrizioni degli organi di vigilanza;
- ha riportato al centro della programmazione e predisposizione della sicurezza il luogo di lavoro responsabilizzando il datore di lavoro, nella sua autonomia, ma vincolandolo al rispetto delle procedure, ed in particolare alla elaborazione del documento di sicurezza;
- ha riattribuito alla informazione, partecipazione e cultura della prevenzione ed alla partecipazione dei diversi soggetti operanti nell’azienda (ed in particolare ai lavoratori e loro rappresentanze) un ruolo nuovo ed essenziale .
Tra le
novità più significative in termini di normazione:
- ha definito per la prima volta espressamente in particolare la figura del datore di lavoro
- ha creato la figura del servizio di prevenzione quale organo ausiliario del datore di lavoro, con funzioni consultive e promozionali;
- ha attribuito alla figura del medico competente funzioni di sorveglianza sanitaria e disciplinato in modo organico la sorveglianza sanitaria per ciascun tipo di rischio
- ha poi integrato e modificato la normativa in settori specifici di tutela ( Requisiti dei luoghi di lavoro, disciplina ed uso delle attrezzature di lavoro, disciplina ed uso dei dispositivi di protezione individuale, )
- ha inoltre introdotto una disciplina organica della movimentazione manuale dei carichi, dell’uso di attrezzatute munite di videoterminali, della protezione da agenti cancerogeni e da agenti biologici ;
- Ha infine espressamente chiarito quali siano gli organi della pubblica amministrazione che hanno funzioni generali o specifiche di sorveglianza ( art. 23 )
3. Il DLvo 626 del 19/9/1994 integrato e corretto dal DLvo n. 242 del 19/3/1996
A
- Ambiti di applicazione:
1 - natura della attività
La nuova
disciplina si applica in tutti i settori di attività privati o
pubblici, tenendo conto però , per i soggetti pubblici
espressamente elencati nel 2° co. dell’art. 2 , delle particolari
esigenze connesse al servizio espletato, e rinviando per la
individuazione delle stesse ai decreti del Ministero competente di
concerto con il Ministero del Lavoro e e della Previdenza sociale,
della sanità e della funzione pubblica.
La deroga
oggetto di infinite “contrattazioni” , nasce dalla specifica
attenzione alle possibili interferenze e conflitti tra le le fimalità
istituzionali e la tutela prevenzionale, ed in questo contesto anche
dalla preoccupazione per l’impatto che la diffusa
responsabilizzazione comporta ( per i dirigenti con potere di
gestione o funzionari preposti ad uffici aventi autonomia gestionale)
proprio in quei settori nei quali possono confliggere più interessi
primari concorrenti.
C’e
peraltro da augurarsi che i dccreti concertati salvino i principi di
tutela fondamentali e articolino le deroghe nel rispetto di tutti gli
interessi pubblici concorrenti ( chi riuscirà mai a spiegare perche’
un addetto ai videoterminali in un commissariato di P.S. o nella
segreteria di un liceo scientifico debba essere meno tutelato in
modo diverso, e per converso un dirigente di istituto bancario possa
essere mandato a giudizio per violazione della normativa di cui al
titolo VI del DLvo 626, ma non un direttore di istituto carcerario ?!
).
A
- Ambiti di applicazione: -
2 definizione di lavoratore
Ulteriore
delimitazione del campo di applicazione deriva dalla individuazione
soggettiva dei lavoratori quale contenuta nell’ art. 2 co 1 lett.
a). che esclude gli addetti ai servizi domestici e familiari, ma
estende la tutela ad una serie di categorie, parificate ai lavoratori
subordinati, e per le quali nel passato vi erano stati vari problemi
interpretativi.
B
- Generalità
Il
decreto 626/94 ha accuratamente delineato un percorso prevenzionale
unitario, programmato e procedimentalizzato mediante la
individuazione di :
I)
principi o misure generali di tutela
II)
soggetti e
loro obblighi
III)
strumenti organizzativi
- l’istituzione dei
servizi di prevenzione e protezione
- la nomina del
medico competente
- la designazione
degli incaricati della prevenzione
incendi,
dell’evacuazione e del pronto soccorso
- l’istituzione del
rappresentante per la sicurezza
IV)
strumenti di gestione
- la valutazione dei
rischi
- la consultazione e
la partesipazione dei lavoratori e del
loro rappresentante
- la formazione e
l’informazione dei lavoratori
In tale
contesto unitario si apprezza come non meramente programmatica, la
accurata elencazione delle misure generali di tutela (art. 3 )
E del
pari fondamentale e’ la analitica definizione ( e finalmente
corretta individuazione) dei soggetti od organismi destinati a
partecipare al detto percorso prevenzionale ( artt 2 ed 8) nonchè la
accurata individuazione degli obblighi del datore di lavoro, dei
dirigenti e dei preposti ( art. 4), la ( ora) precisa
classificazione degli obblighi propri e non delegabili del datore di
lavoro. ( art. 1 co 4 ter ).
Anche a
tal fine particolare rilievo presenta la definizione di unità
produttiva quale stabilimento o struttura finalizzata alla produzione
di beni e servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnico
produttiva.
Una
analitica dissertazione su ciascuno dei profili indicati non e’
possibile in questa sede, ma una elencazione descrittiva appare utile
e proficua per consentire un più agevole approccio al modello di
sicurezza e prevenzione cosi’ come congegnato.
B - I ) Misure generali di tutela: principi e direttive art 3
Risultano
articolate ed espressamente elencate le misure generali per la
protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori; tali
misure costituiscono al contempo il manifesto programmatico della
sicurezza in qualsiasi ambiente di lavoro, cioè le direttive cui
deve attenersi il datore di lavoro ed al contempo il contenuto
generico degli obblighi posti in capo a quest’ultimo(art. 3)
In realtà
a ben vedere tali “ direttive” costituendo, il prodotto delle
migliori conoscenze specialistiche nella elencazione di obiettivi
articolati, sono riconducibili al dovere generale di sicurezza.
B I a)
GENERALI quale diretta
estrinsecazione normativa del canone fondamentale già sancito nel
nostro ordinamento nel CC del ‘42 ( art 2087 CC);
(O)
misure di protezione collettiva ed individuale;
(G)
priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure
di protezione individuale;
(N)
misure igieniche;
(R)
regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine od
impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in
conformità alle indicazioni dei fabbricanti;
(T)
istruzione adeguata ai lavoratori
B I b)
SPECIFICI quali articolazione
tradizionale di tali principio, ricavabile direttamente dalla
normazione preesistente
(C)
riduzione dei rischi alla fonte;
(E)
sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è
meno pericoloso;
(I)
utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici, sui
luoghi di lavoro;
(L)
controllo sanitario dei lavoratori in funzione dei rischi specifici;
(M)
allontanamento del lavoratore dall’esposizione al rischio, per
motivi inerenti alla sua persona;
(Q)
uso dei segnali di avvertimento e di sicurezza;
(H)
limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o possono
essere esposti al rischio;
(B)
eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in
base al progresso tecnico e, ove ciò non è possibile, loro
riduzione al minimo
B I c)
SPECIFICI NUOVI, quale nuova
articolazione resa possibile dallo sviluppo delle conoscenze e
necessaria dallo svilupparsi di nuove patologie
(F)
rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di
lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei
metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono
e ripetitivo;
B I d)
PROCEDURALI, in quanto più
direttamente collegati alla nuova articolazione delle procedure
finalizzate alla assicurazione dell’obiettivo della sicurezza
(A)
valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;
(D)
programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integra
in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive
ed organizzative dell’azienda, nonchè l’influenza dei fattori
dell’ambiente di lavoro;
(P)
misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, di lotta
antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave ed
immediato;
(S)
informazione, formazione, consultazione e partecipazioni dei
lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle questioni
riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro.
B - 2 I SOGGETTI E LORO OBBLIGHI
Il DLvo
626, con una tecnica normativa in parte nuova nel nostro ordinamento
ha fornito la “ definizione” dei soggetti che sono responsabili
ovvero concorrono al processo di attuazione delle misure di sicurezza
e prevenzione (art. 2) ricomprendendovi il rappresentante dei
lavoratori , individuando inoltre il servizio di prevenzione e
protezione (art. 8) e la figura del relativo responsabile ( art, 2
lett f),ed indicando infine il medico competente come responsabile
della sorveglianza sanitaria (art. 17).
.
Inoltre
ha fornito , secondo tecnica questa volta ben consolidata nel nostro
ordinamento, precetti generali relativi agli obblighi del datore di
lavoro dei dirigenti e preposti(artt. 4), precisando ed ampliando poi
gli obblighi che fanno capo ai lavoratori (art.5)
Di
particolare pregio sono poi le norme che hanno ridisegnato gli
obblighi dei fabbricanti, venditori, noleggiatori e concedenti in
leasing di macchine (art. 6) estendendo responsabilità ai
progettisti, e le norme che hanno riformulato gli obblighi del datore
di lavoro in caso di appalto (art. 7) .
Ritengo
utile richiamare le definizioni dei
diversi soggetti adottate, riservandomi di analizzare poi
dettagliatamente la figura del datore di lavoro, quale titolare degli
obblighi collegati al dovere generale di sicurezza.
b2.1.
LAVORATORE: persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di
un datore di lavoro, con rapporto di lavoro subordinato anche
speciale.
b2.2.
MEDICO COMPETENTE: persona munita di
titolo di specializzazione in
medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e
psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o
in fisiologia ed igiene del lavoro o in clinica del lavoro ( ed altre
specializzazioni individuate, ove necessario, con decreto del
Ministro della sanità di concerto con il Ministro dell’università
e della ricerca scientifica e tecnologica) ovvero docente
o libero docente in medicina del
lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in
tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed
igiene del lavoro , ovvero laureato in medicina e chirurgia
appositamente autorizzato con decreto dell’Assessore regionale alla
Sanità , dopo aver svolto per almeno 4 anni attività di medico del
lavoro (art 55 DLvo 277/,91
b2.3
RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI: persona eletta o designata per
rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della
salute e della sicurezza durante il lavoro.
SERVIZIO
DI PREVENZIONE: insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o
interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e
protezione dai rischi professionali nell’azienda, ovvero nell’unità
produttiva.
B2.4. IL DATORE DI LAVORO
La prima
definizione di “datore di lavoro” delineata all’art. 2, lett.
b) del decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626 era stata
ricalcata da quella della direttiva europea nr. 89/391, senza tener
conto della sottostante diversità di sistemi ed esperienze
giuridiche.
Definire
datore di lavoro “la persona fisica o giuridica od il soggetto
pubblico che e’ titolare del rapporto con il lavoratore ed abbia la
responsabilità dell’impresa ovvero dello stabilimento”
costituiva per il nostro ordinamento, improntato al principio della
responsabilità penale personale, un vero e proprio “pastrocchio”.
Una nozione inutilizzabile ed ancor più radicalmente incompatibile
con la concreta disciplina delle società , nelle quali e’ tipica
la scissione tra la titolarità del rapporto con il lavoratore e la
responsabilità dell’impresa.
Per non
parlare della pubblica amministrazione, ove la titolarità del
rapporto di lavoro e’ riconducibile esclusivamente alla persona
giuridica pubblica.
La nuova
versione dell’art. 2 lett. b) del DLvo l. n.626/94 ha avuto ragione
della vera e propria svista originaria indicando che per datore di
lavoro persona titolare del dovere di sicurezza e responsabile degli
obblighi imposti nel sistema prevenzionale della 626 deve intendersi
“ il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o,
comunque , il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione
dell’impresa , ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero
dell’unità produttiva “ intesa
come “stabilimento o struttura
finalizzata alla produzione di beni o servizi, dotata di autonomia
finanziaria e tecnico-funzionale ”.
In buona
sostanza la nozione di datore di lavoro in ossequio al consolidato
principio di effettività, elaborato dalla giurisprudenza sotto il
vigore dell’art. 4 DPR 547/’55, e’ stata quindi comunque
ricondotta al soggetto titolare dei poteri propri di decisione e di
spesa ( in uno stabilimento o struttura dotati di effettiva
autunomia).
Tale
nozione e’ direttamente applicabile a qualunque tipologia di
impresa o figura giuridica articolata e complessa, e risolve in buona
parte gli stessi problemi interpretativi sorti in casi di holdings ed
imprese strutturate in distinte unità produttive, ma anche dinanzi
alle amministrazioni pubbliche centrali ed agli enti pubblici non
economici.
Nel solo
caso di di impresa individuale vi e’ invece un’imputazione
diretta della titolarità del rapporto di lavoro ad una persona
fisica.
Ha
prevalso quindi la ragionevolezza e l’autorevolezza della
impostazione giuridica che conduce ad individuare l’effettivo
datore di lavoro, senza riguardo ad investiture formali, ma con
attenzione alla posizione gerarchica sopraordinata, che comporta
potere di decidere e di attuare le decisioni dal punto di vista
economico e funzionale.
E’
questi il soggetto persona fisica, posto in posizione di garanzia
dall’ordinamento, e titolare del dovere di sicurezza.
B
2.4 bis IL DATORE DI LAVORO PUBBLICO
Su questa
scia si pone la norma del DLvo 626 che, con riferimento alle
pubbliche amministrazioni, ha chiarito che deve ritenersi datore di
lavoro il dirigente al quale spettino i poteri di gestione, ovvero il
funzionario non avente qualifica dirigenziale, qualora sia preposto
ad un ufficio avente autonomia gestionale.
La figura
indicata corrisponde, come era ragionevole attendersi, a quella
concreta del dirigente della pubblica amministrazione,
L’art.
3 del D.Lvo n. 29/93, in tema di razionalizzazione
dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione
della disciplina del impiego ha infatti attribuito ai dirigenti
pubblici “la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa verso
l’esterno, mediante autonomi poteri di spesa , di organizzazione
delle risorse umane e strumentali di “chiarendo che essi “sono
responsabili della gestione e dei relativi risultati”.
Viene
dunque confermato anche per la pubblica amministrazione la necessità
di individuare la persona titolare di autonomi poteri di intervento,
gestione ed amministrazione.
Ma
dinanzi al noto fenomeno della scissione tra piu soggetti pubblici
del potere-dovere di segnalare (la carenza di misure
antinfortunistiche e richiederne la realizzazione) , potere di
decisione e potere di spesa, il legislatore ha inteso riaffermare
il principio fondamentale, secondo il quale da nessuno può essere
pretesa una condotta che implica poteri di cui il soggetto non
dispone.
L’art 4
co 12 del DLvo 626 chiarisce difatti che “gli obblighi relativi ad
interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai
sensi del presente decreto, la sicurezza dei locali e degli edifici
assegnati in uso alle pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici,
ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a
carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme e
convenzioni. alla loro fornitura e manutenzione. In tal caso gli
obblighi previsti dal presente decreto i si intendono assolti ,da
parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati,
con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione
competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico.”
B
2.4 ter - OBBLIGHI E RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO E DEI
DIRIGENTI. LA DELEGA DI FUNZIONI
Nella
prima versione il DLvo 626, con un’altra scelta infelice,
individuava tutta una vasta gamma di obblighi posti direttamente in
capo al datore di lavoro ed altresì sanzionati penalmente solo a
carico di questi ( art 89 co 2° ); mentre solo per alcuni era
prevista sanzione indifferentemente a carico del datore di lavoro e
del dirigente (art. 89 co 1°)
Il
legislatore aveva posto mente alla differenziazione tra obblighi
propulsivi legati ai compiti programmatici propri del datore ed
obblighi di natura più squisitamente attuativa ( ricadenti anche nei
compiti dei dirigenti ).
Come a
suo tempo rilevato la scelta scardinava il consolidato principio di
delegabilità delle funzioni, senza tener conto adeguatamente della
realtà organizzativa delle grandi strutture produttive.
Ai
dirigenti validamente delegati non si sarebbero potute estendere le
sanzioni in caso di omissioni, mentre si poneva il problema di una
responsabilità troppo incisiva e verticalizzata in capo al datore di
lavoro.
Con il
DLvo 242/96 ( non a caso chiamato decreto di correzione) e’ stato
però opportunamente riformulato l’art. 89, prevedendo sanzioni a
carico di datore e dirigenti per la buona parte delle violazioni di
precetti del 626. Nell’ambito di tali previsioni si riespande
perciò pienamente ed in modo coerente l’istituto della delega,
cosi’ come elaborato dalla giurisprudenza.
Delega
che non costituisce si badi lo strumento per scaricare verso il basso
le responsabilità del datore di lavoro ma ha costituito lo strumento
tipicamente organizzatorio di ripartizione e concreta
attuazione dei compiti connessi al dovere di
sicurezza .in particolare nelle grandi aziende.
Alla
giurisprudenza va riconosciuto il merito di aver eleborato i criteri
di valutazione della delega in sede penale , con occhio attento ai
canoni di effettività e concretezza.
Secondo
tale consolidata elaborazione la delega può liberare dalla
responsabilità il datore di lavoro, in ipotesi di omissioni del
delegato, vero o fittizio, solo in quanto:
- sia plausibile in ragione delle dimensioni e necessità organizzative dell’azienda
- sia attribuita a persona esperta e competente;
- sia rilasciata in forma scritta o comunque idonea a provarne l’esistenza e l’effettivo contenuto;
- conferisca effettivi ed adeguati poteri decisionali e di spesa
Inoltre
occorre che:
- il datore di lavoro non si ingerisca attivamente nell’esercizio delle attribuzioni del delegato
- la delega non concerna adempimento di obblighi strutturali e programmatici esclusivamente riferibili al datore di lavoro
- infine il datore di lavoro non sia comunque posto a conoscenza delle violazioni esistenti o commesse dal delegato
L’istituto
della delega cosi’ come elaborato dalla giurisprudenza presupponeva
la qualificazione delle fattispecie penali in materia prevenzionale
come reati “propri” imputabili al datore di lavoro (ed anche)
ai dirigenti e preposti. (art 4 Dpr 547/’55). Il conferimento di
funzioni di gestione perciò poteva comportare una diversificata
imputazione della responsabilità penale.
Le
modifiche apportate nel DLvo 626 hanno quindi opportunamente
allineato la nuova normativa prevenzionale ai detti principi,
consolidati.
Il datore
di lavoro rimane esclusivo titolare del dovere di sicurezza posto in
posizione di garanzia ma può validamente delegare ai dirigenti
l’attuazione di misure ed obblighi, salvo eccezioni tassative.
I
dirigenti validamente delegati risponderanno in prima persona della
mancata ottemperanza.
A tal
proposito opportuna e coerente appare l’aggiunta del comma 4 bis
all’art, 1 del decreto n. 626/94, che espressamente dispone: i
dirigenti ed i preposti che dirigono o sovraintendono le attività
attraverso le quali il datore di lavoro attua le misure generali di
tutela dei lavoratori sono personalmente tenuti all’osservanza
delle disposizioni del decreto
B
2.4 quater - OBBLIGHI E RESPONSABILITÀ ESCLUSIVI DEL DATORE DI
LAVORO
Solo
talune violazioni, connesse agli obblighi programmatici e procedurali
basilari, sono quindi sanzionate esclusivamente a carico del datore
di lavoro. , alla stregua della nuova formulazione del primo comma
dell’art. 89. e non sono
pertanto delegabili con efficacia liberatoria
Si tratta
di violazioni inerenti il dovere di programmare la prevenzione, sui
distinti piani della conoscenza ed eliminazione dei rischi alla
fonte nonchè del continuo aggiornamento delle misure da adottare in
relazione all’evoluzione tecnologica.
Tali
violazioni sono in via generale quelle di cui ai comma 2,4 lettera
a), 6,7 e 11 dell’art. 4 DLvo 626:
- obbligo di designazione del responsabile del servizio doi prevenzione e protezione,
- obbligo di procedere alla valutazione dei rischi ed all’elaborazione del documento tramite il concerto con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, con il medico competente, e con il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
- obbligo di predisporre il documento di sicurezza ( all’esito della valutazione dei rischi);
- obbligo di provvedere ed aggiornare la valutazione dei rischi ed il conseguente documento in occasione di modifiche del processo produttivo che possano avere influenza sulle esigenze di sicurezza del lavoro;
- obbligo di autocertificazione dell’avvenuta effettuazione dellla valutazione dei rischi e della conseguente realizzazione dei necessari interventi di prevenzione e protezione su strutture, macchine ed impianti ( procedura semplificata per le aziende familiari e le piccole imprese con meno di dieci addetti, che non siano soggette a particolari fattori di rischio)
Sono poi
previste ulteriori sanzioni nei confronti del solo datore, per la
mancata effettuazione od aggiornamento della valutazione e per la
mancata elaborazione del conseguente documento, in riferimento ai
rischi da esposizione ad agenti cancerogeni od esposizione ad agenti
biologici. ( art. 63, comma 1,4 e 5, art. 69, comma 5 lettera a),
art. 78, comma 3 e 5 ed art . 86 comma 2 ter )
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